di Domenica Bumbaca
Responsabilità è sostantivo femminile. Anche emergenza. Due parole che oggi, 8 marzo, dovranno assumere un significato più alto. Perché oggi nella ricorrenza che celebra la donna, stiamo assistendo, da una parte all’emergenza del CoronaVirus che sta mettendo in stand by la nostra vita quotidiana, tra avvisi, accorgimenti, restrizioni, misure di prevenzione, decreti e ordinanze, dall’altra ci spinge ad un altissimo senso di responsabilità. Quella responsabilità che il Governo deve assumersi, senza se e senza ma, senza, inciampi e falle, distrazioni e mal informazione. Ma nulla è programmato, emergenza è per tutti; e poi c’è quella responsabilità che ogni cittadino è chiamato ad assumere.
Nei giorni scorsi, per la celebrazione della donna, prima della sospensione delle attività didattiche, abbiamo inoltrato alle scuole, insieme alle componenti della Commissione Pari Opportunità del Comune di Locri, una lettera con l’invito a diffondere la “Carta dei diritti della Bambina”, già adottata dal Comune. Un invito che riproporremo al rientro a scuola. E poi mi sono chiesta in questi giorni cosa poter fare come presidente della Commissione Pari Opportunità e commissione servizi alla persona e alla comunità. Ho riflettuto molto e non ho trovato risposte se non quella di fare ciò che facciamo ogni giorno: vivere con coscienza e responsabilità, aggiungendo la capacità di ascoltare e farci consigliare.
In questi giorni nelle nostre case, nelle case delle nostre famiglie, sono entrate a far parte nuovi modi di vivere, di approcciarsi, di trascorrere le giornate, tra il lavoro e la gestione della casa, tra il lavoro e i ragazzi a casa dopo la sospensione delle attività didattiche. Nelle nostre case le parole più utilizzate sono prevenzione, cautela, attenzione, affidabilità. Questo concetto che oggi, però, ai tempi dei social, dove la fuga di notizie sta diventando più dannosa della diffusione del virus, vedi il caso delle bozze dei decreti diffusi prima ancora dell’ufficialità, quello del 4 marzo e quello del 7/8 marzo, sta perdendo il suo essenziale significato. Dove il cittadino crede di tutto, dalle fake news agli allarmismi, dalle paranoie, al fenomeno dei passaparola, dalla conta dei casi positivi a quelli sospetti, dall’audio dei gruppi di whatsapp delle mamme alla “furba” di turno, ai post sui social network passati per sante verità, ai talk show. Tutto sembrerebbe affidabile e dettato dalla responsabilità umana. Ma umano non è quando dai in pasto ai giornalisti anche le generalità dei pazienti, positivi o presunti, violando il diritto del malato. Crediamo a tutto anziché alla scienza. Quella non la conosciamo e ci permettiamo il lusso di contrastarne contenuti, dare lezioni di virologia. Tutti diventano medici, infermieri, operatori sanitari. È un contagio. Non è consapevolezza e volontà di seguire gli accorgimenti, qui l’impegno di molti sembrerebbe essere quello di chi ha più notizie dell’altro e non si parla solo del giornalista che lo fa di mestiere. Qui ognuno di noi è chiamato a fare il proprio lavoro. Ma a volte stare al proprio posto risulta davvero difficile.
La mia tastiera, è parte del mio mondo, quello del comunicare, dello scrivere, del mio lavoro, mi fa scoprire in questi giorni che, attraverso la tecnologia, puoi dare una parola di conforto a chi sta dall’altra parte del Paese, e un “ci risentiamo” è una stretta di mano virtuale. Un buongiorno, grazie per l’informazione è un “oggi sono più tranquillo”.
Scrivere di ciò che sai. E leggere da fonti attendibili. Il fenomeno del Coronavirus, in un mondo così globalizzato, dove non esistono barriere, se non quelle mentali, questo mi ha portato a riflettere. E quando leggo il messaggio dalla maestra di mia figlia inviato alle mamme per i bambini, ne ho la conferma. Il consiglio dell’insegnante: “leggete ragazzi e scrivete le vostre emozioni, giorno dopo giorno”.
Solo per ora, è vero, le attività didattiche sono sospese, ma non la nostra vita. Giornate più impegnative, perché lasciare a casa tre bambini non è semplice. Chi ha la fortuna di avere i nonni, e sono proprio loro che dobbiamo tutelare, chi ha zii e parenti vicino disponibili e amorevoli nell’accudirli è davvero ricco. E ti preoccupi, però, del genitore lavoratore che “deve” inventarsi la qualunque, fare salti mortali per gestire il figlio. Il Governo, anche in questo, comunica misure straordinarie per le famiglie, ma a singhiozzi e tra esitazioni.
Nell’emergenza non si può essere titubanti, bisogna vestirsi di carattere e crederci con sacrifici. Sfogliando le pagine del “quaderno delle storie” di mia figlia, che in questi giorni sta scrivendo, scopro nuovi mondi. Scopro tanto dalle sue parole innocenti, dai suoi coloratissimi disegni, perché c’è colore nella sua vita, come quando rientra a casa dal laboratorio d’arte con le mani tutte dipinte e non sono giornate in bianco e nero; mi accorgo di tutte le minime accortezze sui consigli da adottare secondo una bambina di 7 anni. Scopro, perché un discorso è fartelo raccontare da tua mamma o da tua suocera, un altro è conoscerlo attraverso il suo punto di vista, quante belle cose fanno i miei bimbi, insieme ai nonni, gli zii e i fratellini. Scopro cosa sa lei e come si immagina le nostre giornate da genitori che lavorano e che scappano a casa il prima possibile per condividere ogni momento con i figli. Scopro quanta complicità con il fratellino, che non ha ben capito cosa sia il virus ma sa che deve lavarsi le mani, così tante volte che ormai il bagno è una piscina. So di essere molto fortunata a vivere sempre e comunque “la famiglia” e penso a mia sorella che sta in Veneto. Avremmo voluto trascorrere 10 giorni insieme in questo periodo. Non è stato possibile. La responsabilità e la coscienza hanno dettato ai nostri cuori che l’emergenza non può essere calpestata dall’ “Io” ma da un senso civico maggiore. E tra le pagine del “quaderno delle storie” scopro quanto amore prova mia figlia per i cuginetti che vivono lontano. Stesso amore per i miei parenti che in Lombardia sono “bloccati” ma non scappano, vivono. Ognuno vorrebbe stare con la propria famiglia, in questo forte momento di pausa e di incertezza, ma affidarsi al buon senso sarebbe l’arma migliore per “isolare” il virus e non “isolarci” rischiando la pandemia. C’è un decreto che vieta, non troviamo una scusa o escamotage. La vita vale di più di una fuga insensata e da panico, e qui non si parla di un viaggio di speranza. L’unica speranza è che si riesca a “contenere” e “contenerci”. Dobbiamo “contenere” anche l’istinto che ci vorrebbe vicino alla nostra amica, a nostra cugina in attesa, che regalerà al mondo, a questo mondo, un altro piccolo bimbo da accudire e proteggere. Non puoi stare con lei nella camera di un ospedale, ad ammirare i suoi primi movimenti o mentre si attacca al seno della sua mamma, ma sei consapevole che l’emozione non puoi contenerla. Ed esprimere il tuo amore lo puoi fare. Con le parole. Con il cuore, anche senza abbraccio fisico. Stare a casa condividendo giochi, esperimenti, leggere un libro, apprendere la tele didattica e fare i compiti, un ripassino non guasta a nessuno; hai tempo per un puzzle che magari con tre bimbi non finirai mai. Certo non chiedetemi di imparare a cucinare, mi affido ad altri, però condivido le giornate con le altre mamme raccontandoci le peripezie con i nostri bimbi e ti gestisci tra faccende domestiche e ore di lavoro da svolgere, mentre pensi a tutto il personale medico in emergenza e una economia che dovrà assolutamente riprendersi. Puoi uscire e osservare il mare anche senza amici, senza la folla, senza i selfie. Puoi guardare il cielo azzurro come gli occhi della tua piccolina, pensando che futuro daremo loro. Nessuno ci sta vietando di “vivere” se non la superficialità e la presunzione che ci porteranno a “sopravvivere” nel migliore delle ipotesi. Puoi amarti e riflettere di più.
Che, oggi, festa della donna, possa ogni mamma, ogni donna, che ha sempre mostrato più sensibilità, consigliare al proprio caro, al proprio figlio, di vivere l’emergenza con responsabilità, senza psicosi. I bambini stanno insegnando molto ma i veri piccoli siamo noi che per un divieto facciamo capricci. Per una partita non giocata ci arrabbiamo mentre negli ospedali non arrivano gli strumenti adeguati e lo scriviamo solo sulla nostra pagina facebook per acchiapparci un “mi piace” ma senza indignarci.
Scopro che, nonostante gli studi, i sapientoni, i tuttologi, sono i bambini a rendere più efficace ogni messaggio. E le parole “femminili” responsabilità – emergenza – affidabilità oggi sono contenuti in un’altra parola al femminile che si chiama scienza. E io ci credo. Mia figlia Aurora ci crede: “io non ho paura del Coronavirus, perché so che i dottori curano tutto”.