R & P
Il Sud e l’occupazione. Una problematica da sempre presente, che ogni buon amministratore vorrebbe risolvere. Ma trovare una soluzione valida ed efficace non è cosa facile. Vedere pian piano morire borghi antichissimi perché i giovani sono costretti ad emigrare alla ricerca di un’occupazione è qualcosa che lacera l’anima. Complementare a questa problematica, la necessità di ogni Comune, di provvedere all’ordinaria manutenzione e pulizia del proprio territorio spesso in condizioni di “emergenza occupazionale”, avendo poche risorse umane disponibili per i vincoli di spesa previsti a livello di bilancio e con l’impossibilità, per quanto appena detto, di operare assunzioni anche a tempo determinato specie per affrontare situazioni temporanee ed emergenziali. In quest’ottica, il progetto FSE PON Inclusione 2014/2020 ha di colpo, seppur momentaneamente, azzerato le problematiche esposte. Il 23 marzo 2019 presso il Distretto Socio Sanitario Nord 1, si teneva l’incontro di informazione ed avvio della seconda fase del progetto FSE PON. L’Ambito ha previsto l’attivazione di 315 percorsi formativi per consentire ad altrettanti utenti REI, a seguito di un progetto personalizzato, l’acquisizione di specifiche competenze e qualifiche. Purtroppo, la fine di tale progetto, ha reso ancora più evidente quanto sia necessario prevedere strumenti in grado di consentire ai giovani di poter rimanere nei propri luoghi, nei propri paesi ed, al tempo stesso, consentire agli stessi di rendersi e sentirsi utili, produttivi, parte viva e vera del tessuto sociale che abitano. Perché per un giovane, poter vivere e lavorare nel proprio paese è una vittoria, non una sconfitta. E lo si leggeva ogni giorno negli occhi pieni di vita di tutti i ragazzi destinatari del progetto PON, impegnati nei lavori giornalieri di manutenzione e pulizia, quanto fosse importante svolgere con passione e dedizione i propri compiti. Una vittoria per tutti. Per il Paese. Per i lavoratori. E per i cittadini stessi destinatari di tutti i servizi erogati con competenza e regolarità.
Mi ha particolarmente colpito poi, il punto di vista di un nostro concittadino sull’argomento sul quale più volte questa Amministrazione si è confrontata, per l’acume e sopratutto il profondo senso di umanità che vi leggevo e che non potevo non condividere nella sua interezza:
“Eutanasia, letteralmente dal Greco “buona morte”, è il procurare intenzionalmente la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia. Traslate il concetto di eutanasia dalle persone ai luoghi e avrete un’idea plastica di ciò che accade da decenni, senza soluzione di continuità, nei nostri paesi, nella nostra Calabria e più in generale nel sud Italia. Intere generazioni di giovani Calabresi costrette ad emigrare per guadagnarsi da vivere. E’ successo anche a me quando nel 1996, vedendo preclusa ogni possibilità, mi sono trasferito da Stignano a Milano dove ho subito trovato lavoro. La rassegnazione a questo stato di cose è come un farmaco letale che prosciuga della linfa vitale (i nostri giovani), le vene del nostro territorio. Da due anni a questa parte la cura è più infima. Si, mi riferisco al famigerato reddito di cittadinanza, annunciato come un sostegno temporaneo e parte integrante di un sistema di politiche attive del lavoro. In realtà i fruitori del reddito di cittadinanza calabresi e non solo, ricevono un assegno assistenziale, per un tempo limitato, senza avere la benché minima possibilità di essere chiamati dai centri per l’impiego per avere non tre, ma un’offerta di lavoro. Non solo, durante il periodo di fruizione del reddito la persona non deve di fatto svolgere alcuna attività, pena la perdita del sussidio. Come la chiamate questa se non una forma di eutanasia della dignità?E’ per questo che ho risposto all’appello di Antonio (percettore di reddito) e Giuseppe (vice sindaco di Stignano) quando mi hanno chiesto una testimonianza. Io non nego l’utilità di un sostegno e il dovere di uno stato civile di riconoscere sussidi per gli inattivi o le fasce più deboli, ma un reddito è tale se legato ad un lavoro. Lo Stato, le Regioni restituiscano la dignità ai tanti Antonio del nostro martoriato sud, li facciano lavorare magari in quei piccoli comuni con l’atavico problema della carenza di organico, chissà che non si riesca a immettere un po’ di linfa in quelle comunità. Ai ragazzi della nostra amata Calabria non posso che dire di non rassegnarsi, lottate, i diritti sono una conquista quotidiana. L’augurio che vi faccio è che riesca a voi ciò che non è riuscito alle tante generazioni che vi hanno preceduto, compreso la mia (Vincenzo Cesare-Segretario Regionale Uil Milano e Lombardia).”
Infine, l’esperienza raccontata da Antonio B. che ha vissuto in prima persona il progetto quale soggetto interessato, è emblematica e carica di tutta la voglia di fare di un ragazzo che ha visto, in questi progetti, una vera opportunità di riscatto, un’opportunità seria per poter lavorare e vivere in maniera dignitosa nel proprio territorio, con tutta l’amarezza infine, di sentirsi abbandonato. Racconta Antonio: ” La prima chiamata ricevuta è stata quella degli assistenti sociali a Caulonia, dove ci proponevano un tirocinio di 6 mesi. Ci hanno spiegato come funzionava questo tirocinio, e di quanto sarebbe stato il contributo mensile che ci avrebbero dato, circa 400euro mensili. Durante la riunione tanta gente diceva di firmare che sarebbe stata una presa in giro. Io ho firmato subito, ed assieme a me altre 150 persone, tutti padri di famiglia, e per tutta la durata dell’esperienza lavorativa ho dato tutto me stesso e forse anche di più. Non capisco perchè dal 22 luglio siamo stati tagliati fuori e nessuno ha più parlato di noi e di questo progetto. Voglio solo due parole: invece di darmi il reddito di cittadinanza e non fare nulla, datemi il lavoro proprio come quello che stavo svolgendo, anche abbassandomi il reddito. Perchè io voglio lavorare, non voglio stare a spasso senza fare nulla e magari percepire dei soldi che sento così di non meritare.”
Sarebbe forse davvero il caso, di unire tutti le forze in questo momento, Amministratori locali, Provincie, Regioni e Stato Centrale, per non far naufragare un progetto capace di ridare nuova linfa vitale ai piccoli borghi, incentivando la voglia dei giovani a rimanere e lavorare nel e per il proprio territorio. Senza lavoro, nessuno può dirsi veramente “libero” di vivere.
Giuseppe Lamonica (vice-sindaco Stignano)