di Gianluca Albanese
Appartiene alla categoria dei gioielli nascosti e che prima o poi verranno apprezzati su larga scala, il talento narrativo di Michele Papalia, 35enne avvocato e anima dell’associazione culturale “Santa Pulinara” che dopo quattro anni dalla prima edizione di “Caci il brigante”, torna a raccontare la sua Platì nel nuovo romanzo “Sull’onore nostro. Saluti da Platì. Aspromonte” uscito poche settimane fa per Città del Sole edizioni.
Un libro da leggere tutto d’un fiato e senza le lenti del pregiudizio, per capire meglio la realtà passata e presente di un paese nel cuore dell’Aspromonte che l’autore inizia a raccontare negli anni ’20 del secolo scorso, quando il ricordo del brigante Ferdinando Mittiga detto “Caci” riviveva solo in qualche sparuto discendente e nelle chiacchiere degli anziani davanti al fuoco. E’ una Platì povera e frugale quella degli anni ’20, in cui le classi sociali sono cristallizzate e raffigurate dal grasso e mai sazio ventre dei “signori” e delle loro sovralimentate consorti, dai loro vizi privati e dalle loro virtù pubbliche, mentre il popolo sopravvive con le pezze al culo. L’unico ascensore sociale appare, in un contesto di bassissima scolarizzazione e in cui lo Stato appare come una presenza/assenza lontana, la ‘ndrangheta in via di sviluppo, che dalla guardiania conquista nuovi spazi a suon di lupara e si propone come depositaria di un male inteso senso dell’onore, manifestato con l’intercalare che dà il titolo al romanzo; un onore che viene proclamato tanto e praticato poco.
Non mancano, infatti, tragediatori e delatori anche nella cosiddetta “onorata società” che tramandano i frutti del loro doppiogiochismo alle generazioni future, facendo il gioco di un maresciallo dei Carabinieri boccaccesco che “tutto controlla e di tutti dispone”.
C’è la miseria che prende corpo nella muffa e nell’arredamento spartano della stanza in cui si promettono amore eterno i giovani Ciccio Poeta e Cata e il business criminale di chi nel corso degli anni si ritrova in una condizione sociale di chi è diventato più ricco dei baroni che serviva.
E poi c’è il senso dell’onore, declinato in tutti i suoi significati.
L’onore di una vergine violata da tutelare, di chi medita vendetta e pronuncia sentenze inappellabili nei lunghi decenni della detenzione e l’onore perduto di uno Stato che umilia l’uomo svegliato nella notte e portato in carcere senza un processo, che non pensa altro che alla vergogna di quando si vedranno gli effetti della mancata assunzione della pillola contro la prostatite che i gendarmi gli hanno impedito di portare con sé. Da brividi il suo monologo interiore che diventa una sorta di arringa difensiva che però rimbomba solo nella mente di un uomo reputato un pericolo pubblico da delatori interessati e investigatori approssimativi, così come merita particolare apprezzamento la scelta di narrare le vicende della prima parte del ‘900 con un linguaggio fedele a quello dell’epoca e che agli occhi del contemporaneo appare vintage come i colori e la grafica di una copertina che ricorda quella delle cartoline illustrate dei tempi in cui non si comunicava ancora con le e-mail e i social network.