SIDERNO- La marijuana, fino a qualche tempo fa, a Siderno, rendeva abbastanza bene. Una fiorente azienda, con sede centrale in contrada Lamia, aveva costruito intorno all’ “erba” un proficuo giro d’affari. Basti pensare che 600 piantine rendevano circa 250 mila euro all’anno. E di piantine, disseminate un po’ ovunque, tra i campi delle popolose frazioni e contrade, ce ne erano davvero tante. I semi arrivavano direttamente dall’Olanda e poi, grazie ad una paziente e laboriosa coltivazione, davano i loro frutti. Il tutto sarebbe stato scoperto grazie alle intercettazioni dei carabinieri di Siderno che hanno ricostruito il giro d’affari ed individuati i soggetti coinvolti per poi arrivare alle piantagioni e metterle sotto sequestro. Di questo e di altro ha riferito oggi, nell’ambito del processo Recupero, che vede alla sbarra 54 persone ritenute appartenenti a vario titolo al clan Commisso di Siderno, il maresciallo Arturo Campa, nel corso del lungo esame condotto dal Pm della DDA Antonio De Bernardo di fronte al Tribunale di Locri presieduto dal magistrato Alfredo Sicuro. La “Cosca della Lamia”, secondo quanto riferito dal teste, sarebbe una sotto cosca del clan Commisso, e ne farebbero parte, tra gli altri, i fratelli Giuseppe e Michele Correale, Francesco Muià, Michele e Antonio Costa, Antonio Figliomeni (detto topo) e Giuseppe Muià. Il maresciallo si è anche soffermato sulle vicende che hanno generato l’inchiesta Recupero che si possono riassumere nell’omicidio del giovane Rocco Alì, avvenuto nella primavera del 2007 nel parcheggio del Centro Commerciale “La Gru”, e nel tentato omicidio di Vincenzo Salerno, ad agosto dello stesso anno. Fratello di Salvatore e Agostino Salerno, uccisi a distanza di un mese l’uno dall’latro nell’inverno del 2006, Vincenzo Salerno è anche il genero di Giuseppe Commisso, detto “u mastru”, capo indiscusso dell’omonimo clan. Un tentato omicidio, pertanto, all’inizio, difficile la decifrare, che ha destato l’interesse degli inquirenti. Il maresciallo Campa ha riferito che i Salerno, dopo la fine della guerra di mafia tra i Costa e i Commisso, stavano costituendo una piccola cosca autonoma, una sorta di mina vagante che si decise di stroncare sul nascere. In questa chiave si interpretano gli omicidi dei fratelli Salvatore e Agostino Salerno, gli “scissionisti”, e il tentato omicidio del fratello Vincenzo. Questi già una volta era sfuggito a un attentato che però non aveva denunciato. Il maresciallo ha riferito, in particolare, che l’episodio che fece assumere una decisione drastica ai Commisso verso uno sterminio dei fratelli ribelli fu l’operazione di polizia del settembre 2006 che portò al sequestro di un arsenale di armi in casa dei fratelli Zimbalatti, ritenuti appartenenti al clan dei Salerno. Ciò. fece capire, a chi pretendeva di avere il controllo del territorio, che la propria leadership poteva essere messa in pericolo e da li la decisione di stroncare gli scissionisti. L’autore del tentato omicidio di Vincenzo Salerno, secondo gli inquirenti, sarebbe Cosimo Ascioti, che subito dopo il fatto si sarebbe reso irreperibile per ripresentarsi a Siderno 4 giorni dopo. Cosimo Ascioti è comunque coinvolto nel procedimento Recupero per altri capi di imputazione, mentre quello relativo al tentato omicidio è stato stralciato. Questa circostanza è stata evidenziata dall’avvocato Armando Gerace che, insieme a Giuseppe Oppedisano, costituisce il collegio difensivo dell’imputato che anche oggi era presente in aula. Il processo è stato rinviato al 14 dicembre per completare l’esame del teste e il successivo controesame.
ANTONELLA SCABELLONE