RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Conosciamo fatti “prossimi” al mondo della “malattia” e ai fattori di rischio, alle fonti di contaminazione. Il libro di Sinisa Mijalovic: l’atleta si fa il “sangue cattivo”, eppure ha il coraggio e la forza di scherzarci su “Il ciclo 3-3-1 della chemioterapia nel calcio imbarcherebbe un sacco di goal”. I protocolli sono validi in tutte le Ematologie d’Italia, i medici eccellenti – del tutto marginale e goffo appare il loro collega che in Commissione Medica nella nostra Asp nega l’invalidità. Il fatto che nel crinale di montagne della Locride possano esserci sotterrate scorie radioattive è assai improbabile – le strade di “arrampicamento” di prima erano complicate per gli automezzi pesanti, mentre per nulla lo era l’accesso ai nostri mari, dove può esistere il vero problema (Caso De Grazia). L’eternit del vicinato è anch’esso un problema colpevolmente trascurato. Ma andiamo ad affrontare un tema cruciale: il deposito nazionale delle scorie radioattive, che è un’emergenza da non dimenticare. A tutt’oggi – se “sbiadiranno” di nuovo le notizie che a fine anno sulla vicenda finalmente ( anche se con scarsa evidenza) si annunciavano – i nostri rifiuti radioattivi (ne produciamo ogni anno 500 mila metri cubi per ricerca, cure mediche e industria), custoditi in 19 posti sparsi per la penisola, dovrebbero trovare una “risposta” : secondo le direttive UE, dobbiamo dotarci, cioè, di un Deposito Nazionale entro il 2025. Ne parliamo da trent’anni e da circa venti i governi provano a realizzarlo ma senza successo, a partire dalla rivolta di Scansano ( Matera) nel 2003 per continuare con le barricate della Sardegna, che sull’argomento ha indetto persino un referendum. Esso resta, dunque, direi comprensibilmente, la pattumiera più indesiderata d’Italia. Del deposito si sa tutto: dall’area che occuperà ( 150 ettari) al costo ( 1,5 miliardi), ai denari necessari per ripristinare i siti che hanno ospitato le centrali nucleari (7,2 miliardi), alla quantità di rifiuti ad esso destinata. Il nodo rimane quello della procedura partecipata, perché la legge richiede il consenso delle popolazioni interessate e nessuno le vuole. Sta di fatto che ora l’Italia è in forte ritardo, è scattata la procedura d’infrazione ed è stata deferita dall’UE alla Corte europea di giustizia. Il Recovery plan è praticamente l’ultima chance per l’Italia, la finestra per investire sul futuro dei nostri figli. Ai quali non possiamo lasciare in eredità il mancato rispetto di questo decisivo impegno. Quando votammo il no al referendum sull’energia nucleare, negli anni 90, i socialisti (promotori) non lasciarono però cadere i discorsi relativi all’ equilibrio tra le diverse fonti energetiche, agli impianti nucleari che risultavano obsoleti, al nuovo (!) Piano e alla necessaria “moratoria”, al carattere sismico dell’Italia, alla mozione comune approvata dai partiti socialisti europei ( eccetto che dai francesi, che ci vendevano energia nucleare e… mai avevano avuto un terremoto). Ricordiamo che si era in pieno dopo-Chernobyl. Non è stato fatto cosa si doveva. Oggi, il viceministro Sileri ha denunciato senza mezzi termini che il Piano sulle pandemie è stato commissionato alla struttura del Ministero bel 14 anni fa, e che tale è rimasto. Si rivelano le “scorie” della politica. Se ne producono anche da noi. Comunque, temiamo molto per questa notizia, perché è l’emergenza drammatica del Covid questa che stiamo vivendo, l’altra, sulla gestione delle scorie radioattive, non la “vediamo”, ma è pure e certamente da affrontare con urgenza. Sono “agguati” in serie alla salute.
Franco Crinò