di Gianluca Albanese
Continuano gli approfondimenti tematici sulle priorità programmatiche per la Calabria con il consigliere regionale del gruppo “Casa della Libertà” Giacomo Crinò. Nei giorni scorsi abbiamo discusso di industria del turismo. Oggi, invece, trattiamo lo spinoso tema della sanità.
«Si è fatto bene – esordisce Crinò – a spingere per aumentare da tre a diciannove miliardi di euro i fondi per la Sanità nel Recovery Plan. Il Mes appariva utile, tanto più che la spesa del Piano era orientata più a rinnovare le strutture, molto importanti, meno alla qualificazione delle risorse umane e alle dotazioni strumentali. La costruzione di un ospedale richiede anni, un impianto fotovoltaico sul tetto dell’Ospedale è conveniente per gli ambienti, possiamo dire, ma subito dobbiamo investire sui macchinari dentro e fuori della sala operatoria, sul personale, sulla qualità di chi salva vite umane.
Da noi siamo sempre dentro la polemica dell’organizzazione sanitaria. Le distanze, l’inefficienza burocratica, la demotivazione che può talvolta “catturare”, vengono indicate come le concause di una sanità che in provincia non funziona. Facendo passare in secondo piano il punto sulle prestazioni sanitarie. Sembra volersi rincorrere la coda del problema, invece no, si debbono mettere a loro agio tutti quelli che i pregi e i difetti li vogliono trovare per davvero».
Dopo la premessa, il consigliere Crinò sembra voler gettare acqua sul fuoco degli entusiasmi di chi ritiene sufficiente tornare alle aziende sanitarie locali per rilanciare la sanità nel nostro comprensorio.
«In soldoni, se si fa – ritiene Crinò – un’azienda sanitaria nostra, più piccola, incalziamo i dirigenti, puntiamo sull’orgoglio della Locride, abbiamo risolto il problema? No, non basta. L'”ordine” è il “disordine”, in generale, possono sempre trovare un punto d’incontro, non vince sempre e comunque, come sembrerebbe scontato, il primo (Luciano De Crescenzo ci ha scritto un libro, ragionando di Destra e di Sinistra, di Parmenide e di Eraclito, di Rivera e di Maradona).
In un laboratorio di analisi, per non rischiare, ogni provetta, ogni strumento, ogni camice deve stare rigorosamente al suo posto (in pandemia, di più), in una rete telematica pure, invece in una festa di paese (chiaramente ante Covid) il disordine è gradito; nei servizi che diamo come Città Metropolitana, l’ordine sarebbe necessario, la libertà di esprimere passioni, in politica come in altro, non può essere impedita, in nome dell’ordine.
Perciò – spiega – non sono facili i discorsi basati sulle distinzioni nette, per via di un’ansia dettata più dalla politica che dal merito delle cose. Sull’organizzazione sanitaria abbiamo letto proposte diverse, tali da farle divenire un fatto di geopolitica più che di tutela della salute: “separare” gli ospedali dal territorio nell’Asp reggina, come se i problemi cruciali della Lombardia non ce lo avessero drammaticamente sconsigliato; un’azienda basata sugli ospedali di Locri e Polistena, idea che crolla di conseguenza; lasciare tutto così com’è (ma non funziona…).
Ancora: un’azienda più piccola, non regginocentrica. Posto che “tornare indietro” è molto difficile e che ci sarebbe certamente un effetto a catena nella regione – tutti a chiedere aziende più piccole – possiamo “spingere” quest’ultima ipotesi, reclamarla come “progetto pilota”. In realtà, aziende più piccole potrebbero essere più gestibili, ma dovrebbero fronteggiare le controindicazioni, date, per esempio, dalla quantità (questa volta sì), oltre che dalla qualità dei servizi offerti, dallo scotto del nuovo riassetto, dai costosissimi kit diagnostici da impiegare per intero, pena sprechi, ecc…».
Dopo il lungo ragionamento, Giacomo Crinò passa alle proposte progettuali, lanciando alcuni spunti di riflessione su un tema così dibattuto.
«Nella condizione di oggi, per far funzionare la sanità, ci sarebbero parole d’ordine da rispettare. All’Asp, la contrattazione decentrata sembra un’utopia, ma già i contratti non vengono applicati, a partire da quello individuale di lavoro, per assegnare gli obiettivi e i risultati da raggiungere, per dare una visione alla direzione strategica e per gratificare sul piano professionale ed economico i dirigenti.
Una delle principali criticità è rappresentata dalla mancanza di un sistema informativo regionale e aziendale, interfacciati, indispensabili per una corretta programmazione, controllo e valutazione delle attività. Gli enormi buchi di bilancio, i contenziosi, non nascono a caso. Sul piano prettamente sanitario, il cittadino vuole avere la massima attenzioni da parte del medico e dei sanitari, le cure migliori e, quando necessita di ricovero ospedaliero, soggiornarci l’indispensabile.
Tutto questo può essere realizzato solo attraverso una forte integrazione ospedale-territorio. La presa in carico del paziente, all’interno di un percorso diagnostico-terapeutico, inizia e termina sul territorio, lasciando solo le acuzie all’ospedale (vedi dimissioni protette). La prevenzione è fortemente carente, a partire dagli screening (insufficiente per mammella e utero, assente per la cervice uterina).
In conclusione, utilizzando – conclude Crinò – tutti gli strumenti gestionali correttamente, viene garantita una buona sanità indipendentemente dall’ambito territoriale. Questa fase progettuale ci aiuta a parlarne».