MARINA DI GIOIOSA JONICA – Spezzare la convinzione che tutto sia irrisolvibile e che la ‘ndrangheta sia impossibile da sconfiggere. Con queste parole, il curatore del Libro Bianco sulla ‘ndrangheta Claudio La Camera ha voluto compendiare il senso dell’iniziativa editoriale, che riassume l’attività antimafia di Procura e Forze dell’Ordine reggine, negli anni 2008-2012, presentato stamani al centro “Gennaro” di Marina di Gioiosa Ionica, davanti a un folto pubblico composto in prevalenza da uomini in divisa, amministratori e studenti. Quattro anni importanti, fatti di grandi operazioni di magistratura e forze dell’ordine, che hanno fatto vedere più che nel passato il nuovo volto della criminalità calabrese, quello che s’insinua nella istituzioni, nei gangli principali della società; la ‘ndrangheta dei “colletti bianchi” che spesso è più pericolosa dei quella con le armi da fuoco. Sono stati questi i temi ricorrenti dell’incontro mattutino, che ha visto la partecipazione dei commissari prefettizi insediatisi sia a Marina di Gioiosa Jonica che a Gioiosa, e di diverse figure professionali che col fenomeno mafioso si confrontano quotidianamente nella loro attività. E’ il caso del caposervizio alla redazione reggina de “Il Quotidiano della Calabria” Michele Inserra, campano di origine e da quasi un lustro residente nella nostra provincia. Inserra parla in maniera assai diretta, ricorda che i quattro anni presi in esame dal libro coincidono con quelli del suo arrivo in Calabria e definisce proprio Marina di Gioiosa «determinante negli assetti politico criminali della Locride, come dimostrano le elezioni comunali del 2008 che sono all’origine dell’operazione “Circolo Formato”». Secondo Inserra «Il libro bianco sulla ‘ndrangheta evidenzia la necessità di mettere mano al circuito che sostiene la ‘ndrangheta, composto da istituzioni infedeli, politica (o meglio “falsa politica” e ordini professionali, ma non bisogna dimenticare – ha proseguito – le responsabilità della Chiesa che spesso non si accorge di quanto sia strumentale l’uso dei sacramenti per fare aumentare il consenso alla ‘ndrangheta. Spero che un giorno – ha concluso il caposervizio de “Il Quotidiano” – si faccia quello che fa il cardinale Sepe a Napoli, quando non celebra i funerali dei camorristi». Altra testimonianza di spessore è stata quella del fotoreporter reggino Adriana Sapone, che ha ribadito «la necessità di raccontare i fatti di cronaca, anche quelli di nera senza edulcorarli perché filtri e bavagli non giovano alla verità», mentre è stato letto un tema scritto da una giovane studentessa e dedicato a Gianluca Congiusta vittima di mafia nel maggio del 2005, quando la giovane Catalano (autrice del tema) era una bambina che aveva nel commerciante sidernese non solo un caro cugino, ma anche, come lo ha definito lei stessa «Un mito». Ha concluso i lavori il procuratore capo facente funzioni di Reggio Calabria Ottavio Sferlazza. Lui, siciliano tra i calabresi, non ha avuto difficoltà a dire che «Qui la situazione è peggiore che nella mia Sicilia laddove la stagione delle stragi ha provocato una reazione popolare al fenomeno mafioso più decisa di quella che si avverte in Calabria, anche se non mancano i segnali positivi, come quelli di Giusy Pesce, che con la sua scelta collaborativa con la Giustizia ha infranto il tabù della donna sottomessa all’uomo ‘ndranghetista. Questo il passaggio fondamentale dell’intervento di Sferlazza.
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A ora di pranzo la sala si è svuotata. Molti avevano in mano il libro bianco. Uno strumento in più per capire quello che si è fatto negli ultimi quattro anni per combattere il fenomeno mafioso nella nostra regione.
GIANLUCA ALBANESE