di Gianluca Albanese
“Henninger o Dreher?”. “Dreghe, Dreghe”. Per mio padre e quelli della sua generazione la pronuncia dei termini stranieri è sempre stata un problema. Ma il commesso dell’ingrosso di bibite di Enzo Alvaro, sulla circonvallazione Nord, capisce al volo ed è lesto a caricare la cassetta di Dreghe nel cofano della 127 color carta da zucchero, dalla quale io e mia sorella non siamo scesi.
Con la coda dell’occhio vediamo un ragazzo coi capelli lunghi e ondulati come una femmina, gli occhiali spessi a fondo di bottiglia e una falcata decisa, ampia e veloce.
Lo ritroveremo dall’altro capo della circonvallazione pochissimi minuti dopo, il tempo di pagare la cassa di birra, rimettere in moto e tornare a casa in via Amendola.
Quel ragazzo più veloce della 127 azzurra è Francesco Panetta.
Seguivo l’atletica leggera da un po’, sul televisore in bianco e nero 14” in cucina, nei lunghi pomeriggi estivi. Me la fece amare Pietro Mennea, che vinceva le gare dei 200 piani dalla curva in poi, lasciandosi indietro i giganti muscolosissimi di colore e poi, una volta tagliato il traguardo, alzava in alto l’indice come a dire “Uno: sono arrivato primo”, imitatissimo da noi bambini dell’epoca, nelle corse sulla spiaggia o nei cortili. Rimase il più veloce di sempre su quella distanza per decenni.
Poi scoprii tutte le discipline: il salto in lungo di Evangelisti, il mezzofondo di Mei, i 3000 siepi di Scartezzini e i 10000 di Alberto Cova: baffoni da Carabiniere e orgoglio azzurro che fece esultare il grande telecronista Rai Paolo Rosi, che dopo che tagliò il traguardo olimpico di Los Angeles 1984, urlò “Cova! Cova! Cova!”.
Orgoglio azzurro, inno di Mameli sul podio e medaglie d’oro al collo.
Tutto molto bello, per dirla con Bruno Pizzul.
Ma tutto divenne ancora più bello quando in mezzo a questi campioni ci fu anche quel ragazzo che correva sulla circonvallazione. Nel frattempo aveva lasciato Siderno per trasferirsi a Milano e scalare le vette dell’atletica mondiale.
“Francesco Panetta, nato a Siderno, atleta della Pro Patria”, detto dalla voce di Paolo Rosi in diretta Tv metteva i brividi. La sua fu un’escalation che lo portò a vincere, tra i tanti trofei, il campionato del mondo sui 3000 siepi a Roma nel 1987; medaglia d’argento sui 10.000. Nel 1990 vinse i campionati europei a Spalato sempre sui 3000 siepi, dopo l’argento degli europei di Stoccarda nel 1986.
Di lui ricordo le targhe dei trofei vinti nelle categorie giovanili, esposte nella segreteria dell’Itc “Marconi”, la sua (e la mia scuola) e quella del povero fratello Carlo, mattatore e leader studentesco del tempo, prematuramente scomparso un paio di anni fa, e quella volta che al cinema Nuovo allestirono il maxischermo per seguire tutti insieme la sua gara. Come allo stadio.
La sua carriera ispirò anche romanzi e fiction come “Il ragazzo di Calabria” e grazie a lui molti si avvicinarono alla pratica degli sport di resistenza.
Appena tre anni fa uscì un suo libro autobiografico “Io corro da solo”, edito da Gemini.
Riuscii a contattarlo telefonicamente per capire se ci fossero i presupposti per una presentazione a Siderno. Ebbi l’impressione che l’ipotesi lo lasciò quasi indifferente, mi sottolineò i suoi impegni lavorativi, la grande distanza e il fatto che non venisse da queste parti nemmeno più per le vacanze.
Insomma, lo ricordavo sidernese e lo ritrovai milanese a tutti gli effetti.
Ma gli voglio un gran bene lo stesso.
Altro grande podista fu Peppe Ruggero di Siderno Superiore.
Il decennio successivo, invece, fu quello in cui molti sidernesi appesero le scarpette da corsa e inforcarono una bicicletta.
A ispirarli fu un ragazzo moro e dall’aria mite e timida. Che da giovanissimo conquistò il Giro d’Italia baby e due titoli di vice campione del mondo.
Si chiama Roberto Sgambelluri.
Quando lo incrociai la prima volta eravamo entrambi in bicicletta e vestiti allo stesso modo: caschetto, occhialini, pantaloncini con rinforzo inferiore e tornavamo dai rispettivi giri; cambiavano solo le prestazioni, ma questa è un’altra storia.
Fu come lo immaginavo: semplice, garbato, disponibile. Come quella volta che si aggregò per spingere un’auto rimasta in panne fuori dalla palestra Crupi di via Trento.
Uno, di noi, insomma.
Che fece carriera, e non mi potrò mai scordare quella volta che, rincasando, vidi che tra i titoli del TG5 diretto da Mentana, c’era quello della sua vittoria di tappa al Giro d’Italia del 1997, quella da Arezzo a Lanciano, vinta per distacco.
Roberto Sgambelluri, nato a Siderno e Sidernese per sempre, tanto che un bel giorno l’amministrazione comunale guidata dall’allora sindaco Panetta, decise di assecondare un suo piccolo desiderio, quello di conoscere la miss Italia 1997 Claudia Trieste, calabrese come lui.
Si organizzò una bella cerimonia pubblica che ebbe luogo al centro polifunzionale, alla quale parteciparono migliaia di persone.
Il campione, la miss, il sindaco con la fascia tricolore, gli “assembramenti”.
Sembra una cartolina sbiadita del tempo che fu, e invece è quello che Siderno dovrà tornare a essere, anche se un campione a livello di Sgambelluri difficilmente arriverà. O forse sì. Noi ci speriamo.
E poi non dobbiamo dimenticare i calciatori professionisti.
Ne cito i primi che mi vengono in mente: da Maurizio Cavallo che giocò nel Bologna di Maifredi a Tonino Figliomeni a Franco Campo, poi divenuti apprezzati allenatori di calcio il primo e di futsal il secondo, e un loro illustre collega, ovvero l’attaccante Giuseppe Galluzzo, che esordì in serie A con la maglia del Milan nel campionato 1979-80, l’anno successivo allo scudetto della “stella”: il primo sidernese che io ricordi con una figurina Panini tutta sua!
Certo, ce ne furono altri: da Giuseppe Figliomeni (figlio di Tonino) che vinse lo scudetto Primavera con l’Inter e venne convocato diverse volte da mister Roberto Mancini in prima squadra, passando per Ettore Gliozzi, attuale attaccante del Cosenza ed ex del Sassuolo.
Ma quello che ricordo in maniera più nitida – per vicinanza anagrafica, non me ne vogliano gli altri – è l’ala destra Massimo Campo, fratello minore di Franco.
Classe pura la sua, sia dentro che fuori dal rettangolo di gioco. Sempre educato e disponibile, ricordo quando mi mise in contatto con Simone Perrotta, suo ex compagno di squadra alla Reggina appena trasferito alla Juventus (che intervistai per Radio Roccella) che dopo 6-7 anni divenne campione del Mondo con la Nazionale di Lippi, e soprattutto quando esordì in serie A.
Ricordo benissimo quella serata. Campionato 1999-2000. Allora i prezzi della pay-Tv erano più alti di adesso e più laborioso era il processo d’installazione di parabole e decoder. E allora la Tv a pagamento c’era in poche case.
Quasi tutti preferivano vedere le partite nei maxischermi del centro polifunzionale, pagando un modico biglietto d’ingresso.
C’era la sala grande, tradizionalmente riservata ai tifosi juventini, e quelle più piccole, presidio di milanisti e interisti.
Quella sera si giocava Juventus-Reggina.
Era la partita d’esordio degli amaranto in serie A. Un battesimo di fuoco per i ragazzi di Franco Colomba che conquistarono il loro primo punto nella massima serie proprio al “Delle Alpi”.
Era il 29 agosto 1999.
Fu la Juventus ad andare in vantaggio al 32’ con Pippo Inzaghi, ma la Reggina riuscì a pareggiare al 2’ della ripresa con Kallon.
Gli juventini del centro polifunzionale, in nettissima maggioranza nonostante si giocasse contro la squadra del capoluogo di provincia, passarono una serata a inveire contro il portiere Van der Sar e l’allenatore Ancelotti, due che nel cuore dei tifosi bianconeri non entrarono mai, e l’umore divenne sempre più nero col passare dei minuti, quando il mezzo passo falso tra le mura amiche stava prendendo corpo.
Ma al 47’ del secondo tempo, in pieno recupero, mister Colomba decise che avrebbe dovuto guadagnare secondi preziosi, richiamò al suo posto Baronio e fece entrare un biondino per qualche scampolo di partita, come Franco Causio alla finale dei Mondiali di Spagna: un modo come un altro per farlo partecipare alla festa.
Il biondino era Massimo Campo.
Quando le telecamere di Tele+ – si chiamava così la Tv satellitare – indugiarono sul ragazzo di Siderno Superiore, i mugugni dei tifosi bianconeri sparirono all’istante e partì un lungo applauso accompagnato da una standing ovation che mise d’accordo tutti.
Benvenuto in serie A, Massimè.