di Gianluca Albanese
SIDERNO – Ci sarà più di una ragione se i “vavalaci” (ovvero le grosse lumache colorate in gesso che sono state disseminate nell’area dell’evento “Vivi & Condividi”) sono diventati quasi un oggetto di culto, ricercatissimo e battuto anche all’asta di beneficenza. Nell’idea, che ha preso corpo grazie al genio creativo dell’artista Joey Gulloni, sembra esserci tutto l’orgoglio di appartenenza cittadina di un popolo, di una comunità che non ci sta più a essere la nobile decaduta del comprensorio e che – non per la prima volta, per la verità – ricorre anche all’autoironia per scoprire “l’orgoglio valalacio”.
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E’ noto, infatti, che “vavalaciaro” è l’epiteto dispregiativo col quale gli amici della vicina Locri definiscono gli abitanti di Siderno, da diverse generazioni. Non si sa di preciso se per una spiccata attitudine a raccogliere questi molluschi dopo una giornata di pioggia o se per quel fare un po’ fanfarone (magari connesso alla ben nota vocazione commerciale) dei sidernesi, che parlano, parlano, parlano, fino a fare tanta bava (in dialetto “vava”) dalla bocca, proprio come la schiuma secreta dalle lumache.
Fatto sta che se nel corso dei decenni il sidernese che si vedeva apostrofato come “vavalaciaro” rispondeva parecchio stizzito (magari insinuando strane discendenze dei cugini locresi, che secondo una certa vulgata, sarebbero stati in larga parte generati padre Zaccaria, un monaco di metà ‘900 dai costumi parecchio libertini), ora il “vavalacio” diventa quasi un simbolo di rinascita e di riscoperta dell’orgoglio cittadino, in uno dei momenti più difficili della storia di Siderno.
Un terreno fertile per sfottò e allegorie, del resto, è sempre stato quello dello sport in generale e del calcio in particolare. Le cronache degli anni ’60 narrano di una indimenticata lisca nel cielo della notte dell’8 settembre (data della festa patronale) fatta coi fuochi d’artificio dopo la vittoria di un derby contro il Locri, metafora della “reschia” (termine dialettale per indicare la lisca, appunto), intesa come severa punizione agli avversari.
Negli anni ’80-’90, invece, i tifosi del Locri ricambiarono la cortesia, allestendo un vero e proprio mini-carro allegorico, a forma di “vavalacio” in cartapesta, che ovviamente, scorrazzò in lungo e in largo nel rettangolo di giuoco dello stadio comunale in occasione di un derby.
E poi i cori: “vavalaci” da una parte “figli di padre Zaccaria” dall’altra, fino alla versione odierna del “vavalacio”, non più ingiuria campanilista, ma simbolo – appunto – di orgoglio di appartenenza cittadina in tempi in cui il becero campanilismo di padri e nonni sembra aver lasciato spazio ad una mentalità più moderna, evoluta e cosmopolita delle giovani generazioni.
Per la verità, il “vavalacio” fu, negli anni ’80, inserito nel logo dell’indimenticata squadra di calcio femminile della “Juve Siderno” del mitico presidente Francesco Ruso, che giocò parecchie stagioni in serie A; in tempi recenti, poi, “vavalaci” fu addirittura il nome della squadra di calcio amatoriale che ha appena concluso il campionato della Figc, col bel logo disegnato da Martino Michelizzi.
Oggi, i “vavalaci” in gesso sono un oggetto ricercatissimo, per decorare cortili e giardini. E magari per sentirsi un po’ più orgogliosi di essere sidernesi, anche e soprattutto con l’arma dell’autoironia.
Sono un estimatore della chiocciola <>, ma anche simbolo dei buongustai 8v. club relativo).
Ho una collezione di chiocciole, di varie località italiane e straniere, a me regalate dai figli.
E dunque: è possibile avere un vostro vavalace (piccolo)? Come?
Cordiali saluti
Pasquale Nucara