di Nicola Frammartino
Il libro di Mimmo Panetta “Sradicati” è una biografia, ricchissima di motivi intimistici, spesso emozionanti, sempre coinvolgenti. E’ una storia semplice, sobria, povera, asciutta, condotta senza ricercatezze, ma con lo sguardo fisso all’essenziale: alla vita di uomini, di donne bambini e di ragazzini del suo tempo, e ai luoghi, alle pietre, agli alberi, agli animali del suo mondo materiale e morale.
E’ un libro che appartiene alla memorialistica, una memorialistica intimistica e, talora, dolorosa, struggente, sovrastata dalla nostalgia di un uomo avanti negli anni che rivede con gli occhi della mente le vicende di un bambino, il ragazzino e il giovinetto che fu. Le pagine sono immerse in una sensazione dolorosa del tempo passato, dalla rassegnazione per una vita che è andata in quel modo e che poteva avere altri svolgimenti, più naturali, e che non li ebbe. I lemmi più ricorrenti sono: malinconia, nostalgia, disperazione, sradicamento, sofferenza, macerie dell’anima, angoscia, angosciante, ammasso di tristezze, solitudine di quei luoghi, macerie del cuore, macerie del luogo, dilaniante malinconia, ruderi e macerie, squarciare l’anima, ecc. Una forza potente, ancora sconosciuta in quei luoghi lontani dai centri della produzione dei beni e della modernità, comparve con tutta la sua forza sconvolgente: il capitalismo. L’autore si consola descrivendo la sua vita, in un mondo precapitalistico, una vita che conosceva l’armonia, l’equilibrio, la gioia di vivere.
Più di uno sono i possibili livelli di lettura degli “Sradicati”. Quello intimistico è quello più dirompente. Ma altre chiavi di lettura si presentano con lo scorrere del racconto; esse fanno apparire più urgenti i motivi che hanno ispirato l’autore, motivi che facevano capo al bisogno di giustizia, di uguaglianza e solidarietà umana, componenti centrali della cultura dell’autore.
Non è usuale che un uomo pubblico che si racconti senza furbizie né secondi fini, ma semplicemente spinto dal bisogno di comunicare a quel mondo in cui si è riconosciuto durante la vita e che ha riconosciuto il lui il suo dirigente organico. Per questo motivo Mimmo Panetta nella narrazione ha esteso il suo sguardo dalla sua piccola storia individuale a quella collettiva: di una singola famiglia e poi di una famiglia allargata, poi della ruga, del borgo, della Calabria, dell’Italia, del mondo. Non è retorica. Così erano i comunisti. “Proletari di tutto il mondo unitevi”. C’entra con il libro di Mimmo Panetta? C’entra, perché nella vita dei grandi comunisti del secolo scorso, e Mimmo Panetta è tra questi, e la città di Siderno ne è stata madre prolifica, nei momenti più importanti della loro esistenza non era mai assente l’ansia per il male incombente da scacciare e la speranza di costruzione di una forma superiore di civiltà.
L’altro grande tema che avvolge tutto il libro è l’emigrazione. Essa ha avuto un peso immenso sconfinato nel libro e nella storia. America, Canada, Torino, nomi che richiamano anche sciagure e percorrono il libro.
Anche dell’emigrazione si può fare una doppia lettura: di sciagura e di salvezza del popolo meridionale. E’ stata non solo un dramma, ma anche fonte di speranza di uscire dall’inferno delle nostre campagne. Dopo Portella della Ginestra, dopo a Melissa e dopo Caulonia, dove un popolo voleva scalare il cielo, diventando Stato, per i nostri fratelli “scarti”, come si esprime Papa Francesco, non c’era altra via di scampo.