di Emanuela Alvaro
PALIZZI – Professioni diverse, un settore tutto da scoprire, ma tanta voglia e molto divertimento nel cimentarsi in qualcosa che viene alimentato dalla passione. Passione per il vino, l’IGT Palizzi, una tradizione con radici solide, e passione per un territorio con molti punti di forza, ancora non fino in fondo sfruttati al meglio.
{loadposition articolointerno, rounded}
«Siamo di Palizzi, Melito Porto Salvo, San Lorenzo, ma anche da Reggio Calabria, con sostenitori sparsi un po’ in tutta la regione. C’è venuta l’idea dalla decisione di un nostro amico, Pasquale Polimeno, di vendere un terreno a Spropoli, con circa quattro ettari di vigneto con sette anni di vita. La sua intenzione era quella di vendere, ma allo stesso tempo gli sarebbe piaciuto che il terreno e, in particolare il vigneto, venissero coltivati e valorizzati. L’abbiamo acquistato, ci siamo riuniti in cooperativa, anche lui e la moglie ne fanno parte. Siamo quattro soci ordinari e dodici sovventori, ma l’idea è che tutti diventino, così come si sta procedendo, soci ordinari».
I soci ordinari della Cooperativa agricola “Terre Grecaniche” sono Salvatore Orlando, Carmelo Pansera, Giovanni Pensabene e Antonino Zumbo.
La Cooperativa agricola “Terre Grecaniche” possiede il vigneto più a sud d’Italia, all’interno di quello che viene chiamato “Bosco di Capo Spartivento”, a 300 metri dal faro di Capo Spartivento, in località Capitano Ziccone. Circa 10 ettari di carrubbi, gelsi, mandorle e robinia, che si affacciano sul Mare Ionio. Riconoscibile dalla barriera di cipressi frangivento che lo circondano, immerso nella zona dei famosi Calanchi, “forme di erosione tipiche delle argille, caratterizzate dalla suggestiva alternanza fitta di creste e incisioni proprio per gli intensi processi erosivi che interessano questi sedimenti”.
Ma “Terre germaniche” non produce solo vino, e anche attenta alla promozione dello sviluppo locale, settore che, alcuni di loro, conoscono molto bene. Puntare a migliorare, partendo dalle risorse locali avviando quelle buone pratiche che portano alla valorizzazione della zona.
«Il vino è un prodotto identitario di questo territorio, la tradizione di Palizzi in questo settore è consolidata. Sulle colline i terrazzamenti sono una costante, ma molto di quello che c’era – spiegano – ad un certo punto è stato abbandonato, solo da poco si sta ritornando a ciò che era. Piano piano si è ripreso a ripiantare i vitigni autoctoni. Molte le piccolissime imprese che, per completare tutta la filiera, si devono appoggiare ad altri. E, rispetto a quanto vino si dice essere di Palizzi, nella realtà esiste una discrasia enorme, molti portano l’uva da fuori, si lavora da un’altra parte e poi si mette l’etichetta sopra con il nome Palizzi. Una situazione che dovrà inevitabilmente cambiare».
A far percorrere al vino la giusta direzione ci pensa l’agronomo ed enologo Antonio Zaffina e per la vinificazione la Cooperativa è accolta nella Cantina di un socio “Azienda Agricola Filippo Brancati” che, con il vino di Palizzi che lo stesso produce, omaggia amici e clienti.
Tutti i passaggi sono curati dalla Cooperativa, fino all’etichettatura per un prodotto che si vende utilizzando diversi circuiti, chiaramente tramite internet e direttamente ai ristoratori. Ultimamente hanno preso contatti con un esportatore di vino italiano negli Stati Uniti, il quale, attraverso una consociata, che si occupa specificatamente di prodotti di nicchia, una volta provveduto all’etichettatura per il mercato americano, il vino verrà spedito per essere assaggiato. “Aranghìa” il vino rosso di punta, sarà presente nel ristorante newyorkese “Perbacco”, di un ragazzo di Catanzaro.
“Aranghìa” è in buona compagnia con l’altro vino, del quale ancora la produzione è contenuta, il bianco “Calanchi”, quale altro nome si sarebbe potuto scegliere. 9 mila le bottiglie di “Aranghìa” prodotte lo scorso anno di cui solo 15 casse sono state messe da parte “ad invecchiare”. Quest’anno ne verranno imbottigliate 15 mila di rosso e 1600 di bianco. E poi la riserva, ancora nelle botti, pronta per dicembre.
“Aranghìa” è il nome in lingua grecanica della fiumara che sfocia nel mare Ionio all’altezza del promontorio di Capo Spartivento. Le varietà di uva coltivate sono il Nerello Mascalese, il Calabrese e l’Alicante.
Vitigni nutriti con concimazione biologica del terreno, attenti a tutti i particolari come quello di non tagliare più l’erba nella parte esterna, in modo tale che gli insetti sopravvivano dando beneficio al vigneto stesso. «Non spogliamo le viti come si faceva una volta, le lasciamo così come sono, tagliamo le cime in modo che il vento passi e nel caso di umidità asciughi». Si utilizza lo zolfo ramato in polvere o liquido senza adoperare insetticidi o diserbanti. Il vigneto non viene annaffiato per evitare sbalzi di temperatura. I lieviti sono quelli naturali di cantina, autoctoni.
«Andando avanti stiamo imparando il mestiere, siamo partiti con zero competenze, zero legami con il mercato, ma se si procede un passo alla volta e con criterio, ci si riesce. L’aspetto simpatico è che iniziamo ad essere visibili ed anche appetibili. Siamo attualmente in conversione, il prossimo anno potremo apporre sulle etichette la scritta “biologico”. Evidentemente siamo interessanti e piano piano ci stanno scoprendo. Però c’è anche da dire che, nel frattempo, ci scontriamo con una realtà lavorativa particolare e non sempre all’altezza del lavoro necessario in cantina».
La voglia di crescere dai loro racconti si percepisce chiara, raccontano dell’espansione delle vigne, raccontano dell’attenzione per creare un ambiente accogliente, ma anche di come sul fatturato, sempre per l’idea iniziale di pensare al territorio e allo sviluppo di chi lo vive, il 5% viene destinato a progetti di solidarietà.