Roccella Jonica 3 dicembre 2021
E’ per me una gioia celebrare questa Eucaristia con voi, carissimi rappresentanti della Guardia Costiera e dei Vigili del Fuoco, nel giorno della memoria della vostra Patrona Santa Barbara. Di questa Santa abbiamo poche notizie storiche. Ciò che con certezza la tradizione ci consegna è che Barbara è una santa martire dei primi secoli della storia della chiesa, vissuta in tempo anteriore all’Editto di Milano (313 d.C.), che sancisce la fine del conflitto tra l’impero romano ed il cristianesimo, la cosiddetta pax costantiniana.
Secondo la tradizione, Barbara è stata uccisa decapitata da suo padre, che non ne accettava la conversione alla religione cristiana. Fu perciò vittima innocente di un padre-padrone, che considerava la figlia un oggetto, di cui poter disporre. Era un ricco pagano. Il suo nome era Dioscuro. Geloso della figlia, a causa della sua straordinaria bellezza aveva deciso di proteggerla dai numerosi pretendenti, rinchiudendola in una torre-prigione. La giovane donna Barbara si lasciò attrarre dalla fede cristiana e, all’insaputa del padre, scelse di farsi battezzare. A motivo di questa sua scelta, il padre la sottopose a punizioni e supplizi ed il 4 dicembre (non conosciamo l’anno) la uccise. Ma nel compiere tale atto trovò a sua volta la morte colpito da un fulmine. Ragione per cui santa Barbara viene invocata a protezione dai fulmini, dal fuoco e dalla morte improvvisa.
Ciò che di Barbara una santa è la sua fede in Gesù. Una fede che non venne meno di fronte alle minacce di suo padre. La ricordiamo ancora oggi e la veneriamo come martire, testimone di una fede solida, che non cede alle minacce. Una fede forte, non di comodo, profondamente radicata in una relazione di amore a Cristo ed al Vangelo.
La liturgia di oggi in questo tempo di Avvento che ci prepara al Natale c’invita a rinnovare la nostra fede in Dio con uno sguardo rivolto a questa Santa martire, ma anche alla Parola di Dio che ci è stata consegnata. La Parola di Dio è un invito alla speranza in un mondo nuovo, ad accogliere il Signore Gesù, che ridona la vista a due ciechi e si presenta come colui che guarisce ed illumina il nostro cammino.
Nella prima lettura il profeta Isaia esorta a cogliere la novità di Dio, anche quando in tempi come il nostro la pandemia favorisce la sfiducia, porta al chiudersi in sé stessi ed a guardare il futuro con diffuso senso di pessimismo. Il Profeta ci dice a vedere quanto c’è di bello attorno a noi, quello che il Signore è disposto a fare attraverso la nostra collaborazione:
“Liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele. Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla”.
E’ quanto il Signore è disposto a fare, non senza la nostra collaborazione. Un mondo nuovo è possibile. Ed il Signore ci indica la strada, dona luce e conforto venendo incontro alle umane sofferenze attraverso la guarigione dei due ciechi che con grande fiducia gli si fanno incontro, gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». E Gesù apre i loro occhi, li rende capaci di vedere, di relazionarsi con gli altri e con il mondo intero. Tornarono a vivere come torna a vivere chiunque si lascia guidare dalla fede e si rende disponibile a guardare la vita ed il mondo con occhi solidali. C’è tanta cecità attorno a noi! Cecità è chiudersi in sé stessi, non vedendo altro che il proprio io, un IO che ha preso il posto di Dio. Cecità è affermare ad ogni costo la logica del proprio tornaconto. Cecità è dare valore solo alle cose materiali e a ciò che tocchiamo con mano. Lasciamoci illuminare dal Signore: sapremo cogliere segni di vita e di speranza nella nostra vita quotidiana. Penso alle vostre esperienze di salvataggio di tanti migranti nelle fredde acque del nostro mare, divenuto ormai un cimitero! Il vostro lavoro quotidiano alimenta germogli di vita e di speranza.
Questa celebrazione è per me occasione per esprimere la mia riconoscenza e quella di tutta la comunità per quanto fate ogni giorno con coraggio e fedeltà al vostro servizio, operando spesso in condizioni di grande difficoltà. Ogni vostro intervento di salvataggio, spesso molto rischioso, è espressione di umanità: salvare persone umane è una missione meravigliosa. Con questo impegno quotidiano salvate tanti uomini e donne, giovani vite in cerca di futuro e speranza. E’ gente cui è stata tolto il futuro, sventurati in cammino disposti ad affrontare difficoltà e pericoli di ogni genere. Gente che sfugge a carestie, a guerre, ad epidemie. Gente cui vengono negati i diritti fondamentali. Accogliergli e metterli in salvo è un’opera di umanità.
Voi militari della Marina vi fate carico di un fenomeno che non possiamo più chiamare emergenza. L’emigrazione non è più un’emergenza: è un fenomeno sociale che per la nostra società è divenuto oggi una vera sfida. Continuare a considerarlo un’emergenza del momento è ignorare la storia che è storia d’emigrazione. L’emigrazione è un diritto di libertà, come lo è il diritto di non emigrare, ossia di vivere in pace nella propria terra. Il mondo non sembra averne ancora preso coscienza. Accogliere i migranti e compiere operazioni di salvataggio è perciò dovere di umanità.
Il vostro servizio di salvataggio e di accoglienza rappresenta, sul piano umanitario e sociale, un punto di forza del nostro Paese, un elemento di sicurezza per gli ultimi, i diseredati, i senza patria, per tanta gente afflitta, affamata, spaventata e impoverita. Con le vostre motovedette prendete a carico vite umane e le riconducete alla vita, dopo averle rifocillate e curate. Accostandosi al dolore di tanti migranti, alle loro difficoltà e povertà, ai loro bisogni, vivete una vera esperienza di fede oltre che di profonda umanità. Abbiate certezza che salvare anche una sola vita vale tutto l’oro del mondo. Questo vostro servizio è coerente con la venerazione che riservate a questa Santa, che porta il nome di “Barbara”, che vuol dire proprio “straniera”. In questo modo vi preparate anche a vivere un natale vero, non quello consumistico, quello pubblicizzato dalla televisione che fa passare per desiderio degli Italiani le attese di un mondo egoista, chiuso in sé stesso, che cerca di far superare la paura della pandemia con la ricerca di momenti di svago, di vacanza e la corsa forsennata agli acquisti.
Fratelli e sorelle della Marina militare e dei Vigili del Fuoco,
in una preghiera voi dite: «Siamo i portatori della tua croce e il rischio è il nostro pane quotidiano. Un giorno senza rischio non è vissuto, perché per noi credenti la morte è vita ed è luce. La nostra vita è il fuoco e la nostra fede è Dio». Un modo bello di pregare, riconoscendo nella fede e nel sacrificio, nel rischio e nel coraggio le virtù proprie di un militare della Marina e di un Vigile del Fuoco.
Rinnovo il mio grazie di pastore e di vescovo di questa chiesa a tutti voi della Capitaneria di Porto, ai Vigili del Fuoco, ai volontari di ogni genere per il vostro servizio, a volte nascosto e poco gratificato. Se vi lasciate animare da umiltà nel volere il bene dell’altro, specie dello straniero, assolverete ad una missione evangelica.
Santa Barbara vi protegga nello svolgimento del vostro servizio, in modo che chiunque è in pericolo in mare e in terra possa ricevere il vostro soccorso. Santa Barbara protegga voi e le vostre famiglie. Amen!
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