di Francesca Cusumano
REGGIO CALABRIA- Partirà il prossimo 25 maggio, il processo d’appello all’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano.
L’avviso è stato notificato dalla Seconda Sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria, oltre allo stesso Lucano, anche agli altri 17 imputati.
E’ il 30 settembre dello scorso anno, quando all’ex primo cittadino riacese, è inflitta una condanna di 13 anni e 2 mesi di reclusione, al termine della sentenza di primo grado, nel processo “Xenia”.
Dunque, quasi il doppio della pena, il Procuratore della Repubblica di Locri, Luigi D’Alessio e il pm Michele Permunian, avevano infatti chiesto una condanna di 7 anni e 11 mesi di reclusione.
Molti, sono stati i reati contestati a Mimmo Lucano:associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica, nell’ambito dell’inchiesta “Xenia”, condotta dalla Guardia di Finanza, sul “modello Riace” e sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti.
«Una sentenza lunare e una condanna esorbitante che contrastano totalmente con le evidenze processuali»:era stato questo il commento a caldo dei difensori di Lucano, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, dopo la lettura della sentenza che, nelle motivazioni d’appello, parlano «di lettura forzata se non surreale dei fatti».
Per i legali, il Tribunale di Locri, presieduto dal giudice Fulvio Accurso, ha «dichiarato a ogni costo responsabile Lucano, il cui obiettivo era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar, l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse), dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire di Lucano sia stato diverso».
E ancora nelle motivazioni d’appello, secondo Daqua e Pisapia, in sentenza «c’è stato un uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla».
La parola ora alla Corte d’Appello che dovrà esaminare il reato di associazione a delinquere contestato a Mimmo Lucano nonchè il cambio di capo di imputazione, da abuso d’ufficio a truffa aggravata.