DALL’AVVOCATO ORESTE ROMEO-COORDINATORE PROVINCIALE LISTA SCOPELLITI- RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA SEGUENTE NOTA STAMPA:
Non si può liquidare alla stregua di boutade estiva l’analisi della situazione calabrese fatta ieri l’altro dal Prof. Ilario Ammendolia sulle colonne di un importante quotidiano.
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Da sempre, il potere, in Calabria, è stato gestito per conto terzi da una classe dominante, giammai dirigente, per di più destinataria di delega in tal senso solo ed in quanto altrove ritenuta “affidabile” garante di acritica e suicida subalternità del territorio al livello centrale.
La storia calabrese autorizza e conferma questo assunto.
Invero, la stagione del regionalismo, qui in Calabria, ha avuto inizio con un intervento grazie al quale lo Stato stroncò, non solo con la forza, ma anche con false promesse, la clamorosa protesta popolare che aveva visto protagonista la città di Reggio, icona del Sud del Sud.
Quell’intervento, oltre ad emarginare la città della Fata Morgana, dopo averne mortificato la dignità e l’ansia di riscatto sociale, ebbe anche l’effetto di “chiarire le idee” un po’ a tutti, a mo’ di esemplare punizione per eventuali “riottosi”.
La politica regionale, prendendone atto, poté recitare, in larga misura indisturbata e comunque lautamente gratificata, la parte ad essa assegnata, quella di “garante” della narcosi dell’anima calabrese.
Ad onor del vero, non tutto è filato liscio, dal momento che qualche deviazione, questo percorso “di ispirazione romana”, l’ha pure registrata.
Nei primi mesi dell’amministrazione Loiero, il Presidente Cossiga non esitò ad esternare i suoi gravi timori per l’incolumità del presidente della Regione, e solo a distanza di pochi mesi a rimetterci la vita, per mano assassina, fu il vice presidente del Consiglio Regionale.
Il povero Fortugno proveniva dalla Locride, territorio rappresentante, ora come allora, il profondo Sud della Calabria.
In quella tristissima occasione, le turbolenze interne alla maggioranza di centrosinistra, sfociate in un barbaro assassinio perpetrato nel seggio delle primarie dell’Ulivo allestito a Locri, furono regolate con lo scenografico invio di un Superprefetto, una sorta di commissario straordinario che ben presto si sarebbe rivelato organico alla stessa parte politica all’interno della quale era maturata la ragione dell’incarico che aveva portato quel funzionario dello Stato, futuro senatore, in riva allo Stretto.
Il resto è storia recentissima.
La brusca interruzione dell’unico esecutivo che abbia seriamente messo mano al pozzo di San Patrizio della Sanità Regionale, oggi appare, anch’essa, una sorta di deviazione dal percorso a suo tempo tracciato per la Calabria ed i suoi gattopardi.
Sembra, cioè, per mutuare la morale di un colorito proverbio calabrese, che al bue selvaggio sia stata concessa “corda lunga”, sol perché il grande consenso popolare aveva voluto un Governatore, non un soggetto facilmente “governabile”.
E non si ritiene casuale che sia stato proprio quel consenso popolare a diventare l’obiettivo avuto di mira da una intensa, parossistica strategia demolitrice, affermatasi per avere avuto gioco facile, essenzialmente, sulle debolezze della politica e della burocrazia, l’una e l’altra insieme, destinate a fondersi nell’immaginario collettivo nel cosiddetto “contorno” di chi ha da subito puntato a rompere equilibri consolidati ed a sciogliere le pluridecennali incrostazioni del potere maggiormente pericoloso e distante dalla gente, ossia quello sommerso ed invisibile ai più.
Scaduto il tempo del bue, simbolo di forza e fatica ben note al popolo calabrese, rimane da augurarsi che non arrivi quello di sciacalli e iene che si credono il sale di questa terra e che la stragrande maggioranza dei Calabresi comprenda l’inutilità di continuare a beccarsi come i polli di Renzo, tenuti a testa in giù dalle mani del cinico Azzeccagarbugli.