di Francesca Cusumano
LOCRI – Nell’ambito degli appuntamenti della manifestazione “Locri Ricorda” a 30 anni dalla strage di Capaci e Via D’Amelio, il vicedirettore del Quotidiano del Sud, nonché fondatore ed ex direttore di Calabria Ora, Paride Leporace, stamane ha incontrato alcuni studenti della Locride, per presentare “Toghe Rosso Sangue”, opera letteraria di qualche anno fa (ma ancora attualissima) in cui il giornalista ripercorre gli anni tra il 1969 e il 1994, con protagonisti alcuni magistrati, vittime della mano criminale “nel nome della giustizia”, vite umane “sacrificate sull’altare di oscuri disegni eversivi e colpite senza pietà”.
A dialogare con Leporace, analizzando in particolar modo, le figure di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e di Paolo Borsellino, è stato il direttore di Lente Locale, Gianluca Albanese, che in apertura ha chiesto all’autore, come appariva l’Italia in quel lontano maggio 1992 e in quale contesto si era consumato l’efferato attentato ad opera di Cosa Nostra.
«Quell’anno – ha esordito Paride Leporace – avevo solo 30 anni e l’Italia subiva uno dei suoi più grandi terremoti storici istituzionali, con la cosìddetta stagione di Mani Pulite nota come “Tangentopoli”. Nel giro di settimane, iniziò il lento decadere della Repubblica, con i tg che a ritmo incalzante, elencavano le numerose persone arrestate: politici, manager. In quell’anno, si votò anche per il rinnovo del Quirinale, e in quel 1992, il Presidente della Repubblica era Francesco Cossiga che improvvisamente, iniziò una sua personale campagna di attacco alla stessa Repubblica. Quando quest’ultimo – ha proseguito l’autore – deciderà di dimettersi prima del tempo, sarà Giulio Andreotti, uno dei politici più autorevoli di quegli anni, il primo ad ambire a questo incarico. Proprio in quel frangente, accadde così la strage, perché Cosa Nostra, potente organizzazione criminale, poco prima era stata colpita duramente dai giudici del pool di Palermo, con la condanna (per la prima volta) all’ergastolo dei più grandi padrini di Cosa Nostra. Noi oggi, a distanza di 30 anni, ci riconosciamo nelle storie di due giudici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che hanno segnato un punto nodale del nostro essere italiani».
Sulle possibili motivazioni che ha indotto la mafia, a commettere il brutale assassinio ai danni di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti della scorta, Paride Leporace ha chiarito fin dalle prime battute che «Furono ben 9 i magistrati uccisi a Palermo da Cosa Nostra, la maggior parte di loro, con semplici attentati. Un attentato di stampo simile – ha detto – a quello di Falcone e Borsellino, fu quello del giudice Rocco Chinnici, ucciso il 29 luglio del 1983, a causa dell’esplosivo cui fu imbottita la sua auto, parcheggiata davanti alla sua abitazione a Palermo. Falcone – ha continuato Leporace – ebbe la capacità di intuire che la partita con queste menti criminali raffinatissime, non operasse solo sul versante della mafia tradizionale ma abbracciasse altre questioni. Se oggi continuiamo a parlare di Giovanni Falcone, vuol dire che quel seme che ha dato, ha contribuito a mantenere in vita quella pianta, cui dobbiamo fare riferimento, e a non farne di lui un santino, perché di santini, non ne abbiamo bisogno».
Un excursus poi anche sulla storia d’amore tra Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, una storia vissuta intensamente, sebbene condussero una vita blindatissima, sottoposti a innumerevoli rinunce.
E un’ultima riflessione, infine, per il giudice Paolo Borsellino, altra vittima di Cosa Nostra, ucciso in Via D’Amelio (dove vivevano sua madre e sua sorella) il 19 luglio del 1992, insieme a cinque agenti della scorta.
Alle 16,58, una Fiat 126, imbottita di tritolo, esplose al passaggio del magistrato.
«Paolo Borsellino – ha concluso Leporace – a differenza di Giovanni Falcone, è entrato nel cuore di tutti, per i 57 giorni che lo separarono dal suo collega e fratello siamese. Borsellino era l’uomo di destra più stimato e questo, ci fa riflettere sulla sua grande levatura».