R. & P.
Alle 23 del prossimo 25 settembre ci sarà un dato che sarà subito commentato nelle varie maratone elettorali in TV: l’affluenza alle urne. La Calabria, con ogni probabilità, sarà ancora una volta la Cenerentola d’Italia e questa distanza dei calabresi dall’esercizio della massima espressione di dovere civico sarà assunta come metro per tesi, analisi e giudizi degli ospiti negli studi televisivi.
Ma la bassa affluenza alle urne rischia di essere un dato presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale. Alle prime elezioni repubblicane per la Camera dei deputati partecipò al voto oltre il 92% della popolazione. Alle elezioni del 2018 nemmeno il 73%. Alle consultazioni europee del 2019 ha partecipato al voto meno del 55% degli elettori. Di fronte a questi numeri dobbiamo porci alcune domande e chiederci, quindi, quali siano le reali cause dell’astensionismo, quali gli effetti e, infine, quali i possibili rimedi.
Partiamo dagli effetti. L’astensionismo è un sintomo della crescente sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni democraticamente elette e incide direttamente sul livello di rappresentatività del Parlamento. Ma l’astensionismo è sintomo che aggrava la malattia, nel senso che, in un circolo vizioso, alimenta ulteriormente quella sfiducia, genera istituzioni democraticamente elette poco rappresentative dei cittadini e causa un vulnus nel funzionamento di un sistema democratico minandone le basi che si fondano necessariamente sulla partecipazione dei cittadini alle elezioni. Ma a fronte di questa vera e propria malattia della democrazia, le forze politiche e i media discutono di quest’argomento solo pochi giorni prima di un voto, e qualche giorno dopo. Tra un’elezione e l’altra, quando si potrebbero adottare misure concrete, la questione esce dalle agende politiche.
Veniamo alle cause, la cui analisi deve essere rigorosa perché solo su una analisi rigorosa si possono fondare i rimedi. Sul web si trova una pubblicazione a cura del Dipartimento per le Riforme Istituzionali che analizza con puntualità il fenomeno dell’astensionismo. Uno studio portato avanti da una Commissione Scientifica molto autorevole che ha redatto un documento parecchio interessante, finito però in qualche cassetto nel dimenticatoio delle analisi politiche. Lì viene spiegato che il dato “astenuti” fotografa fenomeni profondamente diversi con un unico scatto. E che per questo motivo quella foto deve essere spiegata per essere compresa.
Lo studio qualifica tre diverse tipologie di astenuti: gli alienati, portatori di una sfiducia irredimibile nei confronti del voto e delle istituzioni democratiche, e che non votano mai; gli indifferenti, che guardano con profondo disinteresse alle elezioni, sono disinformati e non hanno alcuna voglia di informarsi, e per questo non votano, ma in certe condizioni potrebbero votare; gli involontari, che vorrebbero votare, ma sono oggettivamente impossibilitati a farlo. Quest’ultima categoria di persone meriterebbe la massima attenzione da parte della politica, perché è dovere primario della politica rimuovere le barriere che impediscono l’esercizio del voto.
Gli astenuti involontari appartengono per la stragrande maggioranza a due macrogruppi: gli Italiani che risiedono all’estero e che sono iscritti all’Anagrafe loro dedicata (AIRE); i cittadini che, come lavoratori, universitari o studenti di un ciclo scolastico, sono domiciliati lontano dal proprio luogo di residenza.
Facciamo l’esempio di Roccella, dove alle ultime comunali hanno votato 4.085 elettori, pari al 53% degli aventi diritto al voto. Secondo le statistiche ufficiali non ha votato il 47% dei miei concittadini. Un dato impressionante, che restituisce a chi lo legge la fotografia di una comunità rassegnata, disillusa e distante dalla politica, che rinuncia addirittura a dire la sua per determinare il futuro della propria città.
Ma analizziamo meglio lo “scatto” restituito dalle statistiche ufficiali (la foto sulla quale disserterebbero nelle maratone elettorali).
Dei 7.625 aventi diritto al voto, ben 2.285 risiedono all’estero e non possono votare per corrispondenza alle amministrative. Mi chiedo se abbia senso inserirli nel calcolo dell’affluenza, atteso che la concreta possibilità che essi votino è nulla. Per cui le persone che effettivamente avrebbero potuto votare erano 5.340 e di queste ben 4.085 ha votato, pari al 76,5%. Ecco quindi una foto profondamente diversa, una comunità viva, che crede nell’esercizio del voto come strumento per determinare il suo futuro e come primario dovere civico.
E guardiamola ancora meglio quella foto. Tra le 1.255 persone che pur potendo votare non lo hanno fatto ci sono, come dicevamo, gli alienati, gli indifferenti e gli astenuti involontari. Focalizziamoli meglio questi ultimi che, secondo la ricerca a cui ho accennato prima, per la Calabria rappresentano il 7,1% degli elettori. A Roccella sono circa 400. Perché sono astenuti involontari? Perché l’esercizio del diritto di voto è talmente reso difficile dal dovervi rinunciare. Perché tornare a votare costa troppo, perché è impossibile in termini di tempo, salvo prendersi qualche giorno di ferie, perché perdere 3 giorni di lezione in università è impossibile e per altri problemi simili che chi va a votare a cento metri da casa certamente non patisce. Se anche gli astenuti involontari avessero avuto la possibilità di votare, i votanti a Roccella sarebbero stati 4.485, facendo aumentare di 10 punti percentuali l’affluenza sugli aventi diritto al voto e portando all’83% la percentuale di chi, potendo materialmente, avrebbe esercitato il proprio dovere di cittadino.
Infine i rimedi. Il primo molto semplice: comunicare meglio il significato dei numeri dell’astensionismo, distinguendo quello “censito”, calcolato secondo i dettami di legge, da quello “reale”, che tiene conto dei fattori propri dell’astensionismo involontario. Questo perché c’è il rischio serio che il fenomeno si autoalimenti per emulazione. Che quindi un astenuto indifferente, sentendo che a votare alle comunali di Roccella ci è andato solo il 53% degli elettori, si senta nel giusto, senta di far parte di un gruppo importante, che cresce di giorno in giorno. E che addirittura anche chi magari a votare ci è andato, di fronte a quei numeri, possa pensare che è stata inutile la sua partecipazione e che forse è meglio la prossima volta essere indifferente.
Il secondo rimedio può essere quello di chiedere a tutti i candidati calabresi di impegnarsi, dalle posizioni di maggioranza o opposizione, per promuovere un “patto per il coinvolgimento dell’elettorato” che veda uno sforzo congiuntoal fine di individuare modalità per agevolare la partecipazione alle elezioni da parte dei cittadini che temporaneamente si trovano in Italia ma fuori dal luogo di residenza per motivi di studio, salute o lavoro. Questa fetta dell’elettorato riguarda in particolare gli studenti universitari fuori sede, che sono tantissimi in Calabria e nei cui confronti abbiamo il dovere di garantire il diritto alla partecipazione elettorale. Le modalità per l’esercizio del voto fuori sede ci sono. Basta solo normarle, come fu fatto per i residenti all’estero.
L’ultimo rimedio è quello di intervenire costantemente, e non solo in prossimità delle elezioni, per superare i principali gap informativi facendo sentire il cittadino elettore parte della vita istituzionale del Paese. Come? Con iniziative nelle scuole e campagne di comunicazione che promuovano l’importanza della partecipazione e l’uso della scheda bianca o l’annullamento del voto come extrema ratio per significare la lontananza dalle proposte in campo, senza rinunciare ad essere cittadini.
Ciò che dobbiamo auspicare è, in definitiva, che si possa passare dalla discussione sulla astensione dal voto ad una discussione che individui subito gli strumenti utili per una estensione delle possibilità di voto. Ne va della tenuta stessa delle nostre istituzioni.