LOCRI – Se la strage di piazza Mercato del 1967 rappresenta l’11 settembre per Locri, lui è il Michael Moore locale. Pino Mammoliti e i suoi manifesti di denuncia, le sue sortite a effetto, il suo lessico fantasioso e incline all’allegoria, la sua speranzosa irrazionalità.
C’era tanta gente ieri sera a palazzo Nieddu alla presentazione del suo libro “Dal bianco e nero ai colori”, sua prima fatica letteraria in cui ripercorre gli ultimi 45 anni di storia cittadina anche attraverso atti ufficiali riportati nel volume e i famosi manifesti. Lui stesso l’ha definito «un cortometraggio», un messaggio di speranza verso i più deboli che sono chiamati a impegnarsi in prima persona per dare un futuro migliore alla città. Accanto a lui, al tavolo dei relatori, il presidente dell’Ordine degli avvocati Nino Maio, il dirigente nazionale del Pd Demetrio Naccari Carlizzi e il moderatore Rosario Condarcuri. In prima fila il padre e il figlio, cui è dedicato il libro. In sala tanta gente. Politici di centrosinistra e non solo, l’ex sindaco Lombardo e tanta gente comune, tanto Popolo. Quello al quale l’autore si rivolge. Perchè proprio «La speranza che traspare tra le pagine dell’opera e l’attenzione che ha sempre rivolto ai più deboli sono le due doti che emergono dal libro ma soprattutto dalla personalità di Pino» come ha detto Condarcuri a inizio presentazione, ricordando pure come La Riviera, testata di cui è editore, sia giunta al quindicesimo anno di vita. Nino Maio ha esordito con una battuta «Ho accettato di curare la prefazione del libri per evitare di finire in uno dei manifesti di Pino» definendo il volume «Un diario di bordo di una Locride alla deriva che paga l’assenza di figure politiche autorevoli». E se l’avversario di sempre di Mammoliti, ovvero l’ex sindaco Macrì è costantemente nel mirino dell’autore, Maio allarga il campo dicendo che «Le responsabilità dello stato attuale di cose affondano le radici nel passato, anche remoto. Tante cose – ha detto Maio – potevano essere fatte e non sono state realizzate». Naccari si è rivolto con particolare affetto verso l’autore: «Uomo della generazione di mezzo – ha detto l’ex assessore regionale – che si preoccupa ora del futuro delle prossime generazioni, senza aspettare la terza età come fanno più o meno tutti», definendolo pure «Il più grande produttore di dimissioni, un istituto sempre meno comune in politica, perché lui stesso non dimentica mai di essere prima di tutto un cittadino che non può condividere malcostume e incongruenze di certa politica. Pino – ha concluso Naccari – è un irrazionale, nella misura in cui appartiene a quella schiera di individui non convenzionali che sono quelli che, alla fine, riescono a fare le rivoluzioni». Quindi, ha preso la parola l’autore, visibilmente commosso dalla larga partecipazione di pubblico e dal calore dimostrato nei suoi confronti. «Non aspiro – ha esordito – ai ruoli di santo o sindaco. Ho realizzato questo cortometraggio per i cittadini che in questi anni mi hanno aiutato ad alimentare la speranza. Basta camminare e piangere con gli occhi chiusi». Poi, è la volta di un grande classico: «Basta gargarismi di legalità. Ai giovani e agli anziani chiedo una mano d’aiuto affinché possano impegnarsi per il bene comune e smettere di pagare un dazio in più solo per il fatto di essere nati in questa terra. Bisogna impegnarsi in politica senza “se” e senza “ma”. Ora. Prendendo esempio dagli operai del Comune che sono i nostri veri eroi, sempre in prima linea a fare il loro dovere, anche nei giorni di tempesta». Un po’ come Benigni, dunque, ma ricorda soprattutto Michael Moore. Il suo George W. Bush si chiama Francesco Macrì. Secondo Mammoliti, l’ex sindaco «Non ha la vascolarizzazione dei sentimenti che serve a questa città, e anche quando l’ho supportato su alcune questioni di merito nei momenti in cui era in difficoltà, l’ho fatto solo per il bene di Locri, anche se lui non ha mai colto appieno i miei suggerimenti, perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire». Dopodiché, ribadendo che per lui la politica è essenzialmente ricerca delle pari opportunità e che deve riconquistare il suo ruolo perché «Non si può demandare la speranza al vescovo o a qualche magistrato», sfodera il suo modello di concordia sociale, una sorta di osmosi tra le zone abitate dai benestanti e quelle periferiche: «Serve che gli abitanti di parco Mesiti si trasferiscano nelle case popolari e viceversa, così ognuno potrà comprendere meglio le ragioni e le condizioni dell’altro», prima dell’ultima provocazione: «Il dissesto del Comune – ha concluso – potrebbe rappresentare, paradossalmente, il momento della rinascita, perché azzererebbe i conti con noi stessi».
GIANLUCA ALBANESE