di Gianluca Albanese
LOCRI – Ci sono selve oscure ovunque: nei corridoi del Palazzo di Giustizia; nei boschi dell’Aspromonte e delle Serre; nei versi di un brano di heavy metal o in tre terzine incatenate negli endecasillabi; nelle zone di campagna di una frazione e nelle antiche residenze nobiliari del centro; nella mente contorta e nella lucida follia criminale di un professionista-serialkiller (il “Fabbro”) che è il principale protagonista del racconto. “Contrada delle case vecchie” (2014, Booksprint edizioni), è un viaggio tra le selve oscure che diventa un romanzo giallo-horror-noir scritto dalla penna brillante di Antonio Milicia, scrittore, poeta, disegnatore e grande divoratore di libri, film e musica, ancor prima che architetto e consulente tecnico dei principali processi che si celebrano al tribunale di Locri.
{loadposition articolointerno, rounded}
Milicia trasla le sue letture predilette e la sua fornitissima videoteca horror in un’opera ben scritta e in cui niente è lasciato al caso, nemmeno le citazioni di alcuni versi dei brani rock degli anni ’70, ’80, ’90.
Poco importa se nelle prime cento pagine l’opera sembra risentire dell’assenza di editing: le successive trecento sono un crescendo di emozioni e colpi di scena, in cui realtà e fantasia si fondono con successo, conciliando la presenza dei versi de “La Divina Commedia” con quelli urlati dei brani di Metallica e Deep Purple.
“Contrada delle case vecchie” è il nome che l’autore usa per definire Locri, la sua città di residenza, che viene fuori in tutte le sue mille sfaccettature: la storia gloriosa e il presente così così, i palazzi del centro e le frazioni abbandonate, la nobiltà del tempo che fu e la piccola borghesia ipocrita che segue in maniera acritica la direzione del vento, e soprattutto l’alta borghesia massonica che si fa bellamente i fatti suoi, dietro un apparente perbenismo.
La ‘ndrangheta non c’è in questo romanzo. O meglio, appare di sfuggita, quasi come una semplice comparsa. C’è, invece, la storia di un serial killer dall’intelligenza raffinata ed inquietante, che riesce a depistare tutti e a uccidere nella maniera più sadica e apparentemente indolore, seguendo sempre una logica criminale ben precisa, influenzata perfino da enigmistica e numerologia.
Al di là della trama avvincente e che scorre via benissimo, il piacere parallelo a quello della lettura è quello di indovinare chi si cela dietro ai nomi dei protagonisti, spesso ben descritti nei tratti distintivi da comprendere benissimo a chi si sia riferito l’autore che nel momento in cui attribuisce loro un cognome simile a quello della vita reale, facendo capire benissimo dove vuole andare a parare. E’ il caso del giornalista Rocco Muscoli, del maresciallo dei Carabinieri Pasquale o dell’avvocato Giuseppe Zambone.
C’è di tutto nel romanzo: i vizi privati di un medico che ama le auto di lusso, e i conflitti interni alla Procura della Repubblica, la triste fine delle vittime e la vendetta consumata come un piatto servito freddo.
E lui, “Il Fabbro”, mantiene la regia occulta di tutto, anticipando sempre tutto e tutti quando è ora di sparire e scegliendo con cura quando, dove e da chi farsi trovare. Nei fantasmi della sua esistenza si può scorgere la spiegazione delle sue malefatte; nei versi di una canzone il ricordo di qualcuno che non c’è più e a cui ha voluto bene, in una razza di mosche particolarmente avide e nauseabonde il paragone coi legionari romani che uccidevano i nemici usando il gladio.
“Contrada delle case vecchie” non è solo “il romanzo dell’estate”. E’ una guida preziosa per conoscere una città, i suoi mondi, i suoi palazzi (anche in senso metaforico) in maniera disincantata e spietata, e anche un modo per mettere alla berlina la società in preda al delirio mediatico da buco della serratura, quella del plastico della villetta di Cogne in diretta Tv, dei titoloni di giornale sui particolari più pruriginosi di una vicenda, e anche quel “lato oscuro della luna” che i riflettori (siano essi concentrati sulle bellezze naturali e archeologiche, o sui delitti di ‘ndrangheta che da queste parti non mancano) della criminologia nazionale e dei programmi che occupano i palinsesti pomeridiani delle reti nazionali, solitamente ignorano.
“Il Fabbro” non è innocente come Girolimoni, non colpisce solo le prostitute come Donato Bilancia, non ce l’ha con le coppiette come Pietro Pacciani, non uccide i giovanissimi come Luigi Chiatti. E’ di più, molto di più. Mente raffinatissima e coltissima, si permette il lusso di prendersi gioco degli inquirenti e di fare dotte citazioni in latino.
A proposito, ma nella vita reale c’è qualcuno che può avere ispirato l’autore nello scegliere la figura del “Fabbro”? Questo non lo sapremo mai. Di sicuro, dopo aver letto il libro, quando ci aggireremo nell’androne di un palazzo pubblico, o in una sperduta mulattiera in campagna o in montagna, faremo molta più attenzione incrociando un passante dagli occhi coperti da un paio di lenti verdi da aviatore. Potremmo rimanere fulminati. E non in senso metaforico.