di Enrico Tarzia
Qualche tempo fa mi è capitata tra le mani la relazione dell’Ufficio Tecnico Erariale di Reggio Calabria del 1947 sulla costituzione in Comune autonomo di Marina di Gioiosa Ionica. Questa lettura mi ha dato l’occasione per riflettere su come, a distanza di 75 anni, ci troviamo di fronte a un quadro sociale, culturale, economico e legislativo completamente stravolto.
Avevo pensato di intervenire sulla stampa per provare a mettere in fila le ragioni che a mio avviso dovrebbero spingere i due Comuni a fondersi; tuttavia, è bastata una semplice ricerca sul web per ricordarmi come il tema della grande Gioiosa non solo ritorni ciclicamente, da ormai quasi venti anni, nel dibattito pubblico, ma sia stato anche sviluppato e sviscerato a più riprese, e sotto diversi angoli di visuale, da amministratori, esperti della materia, osservatori politici e cittadini appassionati.
Non mi soffermerò, quindi, sui tanti aspetti tecnici e politici che suggerirebbero di intraprendere senza riserve questo processo, né porterò come esempio le esperienze felici di fusione avvenute nel corso degli anni; ritengo invece più utile accennare ad alcune legittime paure che probabilmente ne hanno impedito finora la concretizzazione, provando a individuare anche qualche proposta pratica che, invece, potrebbe aiutare a favorirla.
C’è sicuramente la paura diffusa di perdere la propria identità o di vederla “diluita” in un nuovo ente. Superati i campanilismi stratificatisi nel corso dei decenni, tuttavia, una fusione intelligente saprebbe riconoscere le radici storiche, sociali e culturali, valorizzandole in un rinnovato assetto istituzionale.
Ci sono poi resistenze legate al timore di non riuscire a mantenere piccole rendite di posizione, legate all’apparato burocratico-amministrativo e al personale politico. Anche in questo caso, occorre osservare come, allargando la prospettiva, la nascita di un nuovo Comune, più grande e più strutturato, potrebbe creare rinnovate opportunità di crescita, anche personale.
Più in generale, si percepisce uno scetticismo diffuso che attraversa indistintamente le comunità gioiosane. Su quest’ultimo aspetto, come è stato già osservato, nessuna argomentazione di natura economica e organizzativa può essere sufficiente a superare le resistenze derivanti da questioni storiche e identitarie: solo la partecipazione, il confronto, la condivisione (in una sola parola, la democrazia) possono favorire la costruzione di solide fondamenta sulle quali edificare un progetto così ambizioso.
Più precisamente, sono convinto che un processo di questo tipo vada necessariamente strutturato su due pilastri: partecipazione e passione democratica da un lato; coraggio e lungimiranza politica dall’altro.
Se da un lato, infatti, non possono esistere fusioni a freddo (senza la fatica della democrazia, qualsiasi proposta calata dall’alto è destinata a morire sul nascere); dall’altro, senza il coraggio, la visione e la lungimiranza della politica, ogni fermento popolare è condannato a sfibrarsi fino a dissolversi nella frustrazione.
Credo che la fusione tra le due Gioiosa non sia solo un’opportunità, ma rappresenti oggi quasi una necessità.
Vengo quindi alla mia proposta, che vuole essere più un appello. Sono tante le persone che nel corso degli anni hanno dimostrato di avere a cuore il tema della Grande Gioiosa; tante altre sono pronte a spendersi in presenza di un progetto concreto, serio e credibile. Ritroviamoci, fuori dalle bandiere politiche e liberi da pregiudizi per riannodare i fili di un discorso che non si è mai interrotto; individuiamo insieme i passaggi da seguire per coinvolgere le comunità gioiosane in questo percorso tanto difficile quanto affascinante; mettiamo a sistema il lavoro che è stato già fatto e tracciamo in modo deciso la rotta da seguire.
Facciamolo tenendo a mente quella che Norberto Bobbio considerava la più grande lezione della sua vita: “Ho imparato a rispettare le idee altrui, ad arrestarmi davanti al segreto di ogni coscienza, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare”.
Solo allora, se non andrà bene, potremo dire di averci almeno provato.