di Antonio Baldari
“Con le pinne, fucile ed occhiali quando il mare è una tavola blu, sotto un cielo di mille colori, ci tuffiamo con la testa all’ingiù”.
Alla regione Calabria avranno pensato all’incipit di una delle canzoni più gettonate durante l’estate degli anni Sessanta, cantata da Edoardo Vianello, nel presentare urbi et orbi l’ormai pressoché certa chiusura della cosiddetta “Limina”, uno dei tratti essenziali della SS 682 “Jonio Tirreno” che giustappunto collega il versante jonico a quello tirrenico nella provincia di Reggio Calabria; ed invero, si è affermato questo nel momento in cui veniva presentata l’iniziativa qualche settimana fa, ossia il non dover procedere adesso alla chiusura della Limina giacché “non possiamo compromettere la stagione estiva, sono stato sollecitato da diversi cittadini” – ebbe a dichiarare lo scorso 9 maggio il neo assessore regionale Giovanni Calabrese.
Che, senz’altro, più di ogni altro ci ha messo la faccia, in questa, delicata, vicenda, interpretando i sentimenti più nobili e legittimi di rivalsa, degli operatori del turismo calabrese, rispetto agli ultimi tre anni caratterizzati soprattutto dalle ristrettezze ispirate dal Covid 19, e non v’è alcun dubbio che sia del tutto condivisibile tale assunto, quello che però lascia un po’ perplessi è il non avere sufficientemente ragionato sulle conseguenze, molto pesanti, che insistono nella chiusura del sopraccitato tratto di arteria di comunicazione in merito soprattutto al lavoro, che, a ben guardare, inerisce le deleghe al Lavoro, alla Formazione professionale ed alle Politiche attive per il lavoro conferite all’ex primo cittadino di Locri.
Infatti, all’indomani della decisione di procrastinare il tutto al prossimo mese di settembre, la chiusura della “Limina” ha ingenerato un sentimento diffuso di malcontento che, come al solito, non è sfociato in proteste eclatanti “alla francese”, tanto per intenderci: non è nel Dna dell’italiano né tantomeno del calabrese, che ben conosce l’arte dell’arrangiarsi e del “tirare a campare” come ben si attaglia proprio alla sua attitudine generale, il voler fare baldoria, mettiamola così, per rivendicare i propri, sacrosanti, diritti, però ciò non toglie che ci si debba arrendere all’evidenza dei fatti arrivando anche a fare i salti mortali per poter lavorare.
Eh già perché se, come sembra ormai definito, la “Limina” sarà chiusa per circa un anno, da quanto si vocifera, le cose non si mettono affatto bene posto che, in modo particolare, non ci sono allo stato delle alternative viarie così rassicuranti da potere suggerire una calma che calma, proprio, non è; se si pensa, tanto per fare un esempio, agli insegnanti e/o docenti che dalla Piana vengono qui nella Locride, o a quelli che fanno il percorso inverso, beh, si può ben osservare come siano in tanti ad avere già pensato a come potere ovviare a tale difficoltà che potrebbe arrecare loro anche dei danni rischiando pure di non lavorare.
Per non dire di altre categorie professionali e/o produttive che andrebbero incontro anch’esse a delle serie criticità da risolvere senza però averne la soluzione che, come detto pocanzi, insisterebbe nell’avere delle alternative viarie dignitose, che non ci sono e che, magari, andavano programmate e costruite per tempo per ovviare a quanto sopradescritto: perché non lo si è fatto? Perché non si è pensato prima a come risolvere il problema della viabilità alternativa alla chiusura della Limina?
Con ogni probabilità ciò che è mancato ed ancor’oggi manca è una visione di prospettiva della realtà in cui viviamo, soprattutto a queste latitudini “periferia delle periferie d’Italia” dove anche un’iniziativa di questo tipo può mettere in ginocchio un territorio già “condannato” a priori dagli stessi uomini che lo abitano.
Perché non lo vivono abbastanza.