Il verdetto negativo per la società/squadra dello Stretto affonda le sue radici nella notte dei tempi, per una stagione a due facce perché nel contesto cittadino non tutti hanno remato dalla stessa parte, soprattutto chi ha fatto spallucce, girandosi dall’altra parte, per il classico “mi ‘ndi futtu!” in salsa riggitana. In una città sempre più allo sbando.
di Antonio Baldari
Ciò che si temeva, alla fine, è arrivato: il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della Reggina Calcio 1914, e quindi niente serie B, ben che vada si riparte dalla serie D; un fulmine a ciel poco sereno, nel senso che si prevedeva che sarebbe andata così in un cielo, per l’appunto, pregno di tempeste da almeno sei, sette mesi per quanto concerne la Società e, di riflesso, la squadra con Filippo “Pippo” Inzaghi chiamato al compimento di un’opera complessa che, per certi versi, ed in un certo periodo, gli è pure riuscita ma, obiettivamente, non si poteva fare meglio.
La storia è nota, è un esercizio perfettamente inutile ritornarci cercando di entrare additando tizio, caio e sempronio rispetto ad una situazione del tutto grottesca ma che, nel contesto più ampio cittadino, è una normale conseguenza di ciò che Reggio Calabria vive, vegetando, da almeno una decina d’anni con persone giuste al posto sbagliato e persone sbagliate al posto giusto per una galleria degli orrori da far accapponare la pelle; Reggio Calabria è interessata da problemi seri, molto delicati da risolvere, ma si è avvitata su se stessa. E non ne esce.
Perchè è quasi del tutto allo sbando, complice in primis il più classico dei “mi ‘ndi futtu!” in salsa riggitana, facendo spallucce, e dunque girandosi dall’altra parte, innanzi ai problemi che non si pensa già a portare a definitiva soluzione semmai ad acuirli, mettendo in cattiva luce ora questo ora quello, facendo il male della città e, di riflesso, della squadra: ahivoglia a dire che senza la serie B la Reggina muore ma la domanda nasce spontanea: cosa ha fatto ogni singolo “riggitano” affinché la serie B si conservasse? Ci sono stati dei movimenti e/o aggregazioni in piazza, assolutamente spontanei nel momento in cui si temeva il peggio, perché tutto questo non è stato fatto prima? Perché andare a manifestare a Roma quando il vero obiettivo era andare sotto la sede della Società, chiedendo contezza di ciò che stava accadendo?
Insomma, per Reggio Calabria è tempo di destarsi dal sonno battendosi il petto in una sorta di “mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa” ancorché ci siano nemici, più o meno giurati, in giro per l’Italia, che tifavano fino allo spasimo affinché la Reggina soccombesse ma, anche ed a causa di questo, bisogna rimboccarsi le maniche, guardarsi in faccia e contarsi, lealmente, per capire quanti ci tengono alla squadra, ogni, singolo, giorno. Semmai, restituendo Reggio e la Reggina ai…riggitani, quelli veri! Che amano la città e la squadra ogni, singolo, giorno.