È proprio vero che spesso i silenti fanno la storia.
Così, dopo anni dalla sua scomparsa, l’abnegante impegno del dott Giovan Battista Multari è stato riconosciuto, sia per le ricerche scientifiche svolte che per la grande umanità e dedizione verso i suoi pazienti.
Laureatosi in Medicina e Chirurgia nel 1938 presso l’Università di Napoli, ed aver coperto vari incarichi di prestigio in vari ospedali, lo stesso dedicò ricerca, studi e sperimentazioni, all’epoca ostiche e a dir poco, mete irraggiungibili.
Nonostante la mancanza delle odierne tecnologie diagnostiche e la pochezza strumentale, Multari riuscì a condurre studi soprattutto sulla Silicosi polmonare in Calabria, lavorando ininterrottamente presso l’ospedale Ciaccio di Catanzaro; un certosino lavoro di ricerca richiesto addirittura dal Giappone il che, essendo il 1977, lo colse di sorpresa.
Lo stesso si ammalò di TBC che, nonostante le terapie, lo vide morire nel 1992 per riacutizzazione con relativa crisi respiratoria cronica.
A distanza di tempo, la commissione del premio Zaleuco ne ha riconosciuto l’impegno medico- sociale e soprattutto morale.
A noi concessa l’intervista dalla dottoressa Emmida Multari, figlia di Giovan Battista.
Riconoscimento avvenuto a più di 20 anni dalla morte, ma pur sempre tra i grandi della storia di questa terra...
In effetti, gli anni dalla morte sono 31, ma già nel 1993 ( a 1 anno dalla morte), mio padre ha ricevuto dal Rotary Club di Catanzaro, un riconoscimento su stimolo del dottor Rechichi, anestesista, che aveva lavorato con lui.
Una vita dedicata allo studio, alla ricerca, ma soprattutto l’abnegazione verso chi ne avesse bisogno veramente…
Ricordo di mio padre la costanza nello studio. Ogni giorno, nel pomeriggio almeno due o tre ore di studio di testi, riviste specializzate, libri. L’amore per lo studio e per la ricerca in Medicina, si è sempre coniugato nella personalità di mio padre, alla vicinanza emotiva verso i “malati” (ricordo questo termine, poi sostituito negli anni dalla parola pazienti). Ma per i miei genitori (anche mia madre tisiologa, accanto a mio padre sia nella vita che nel lavoro), le persone sofferenti sono sempre stati “i malati’.
Una persona umile e schiva di ogni gratificazione poiché come è stato scritto”solo i grandi silenzi sanno parlare”...
Si, l’umiltà era la sua cifra. Accanto ad un indomito spirito umoristico, che gli faceva notare le incongruenze di una società che già si profilava vanitosa e desiderosa di apparire. Lui tutto il contrario, schivo e riservato.
Proposte di lavorare al Nord dove forse c’erano più possibilità di ricerca ma ritorno in Calabria…
Vero, nel 1946 mio padre, ha avviato il percorso inverso da Nord a Sud, per amore della propria terra, per star vicino ai genitori, essendo lui figlio unico. Scelta condivisa da mia madre, che ha affrontato questa decisione con emozione e convinzione . E che non si è mai pentita, anzi, tutt’altro.
Straordinario, di temperamento forte, valoroso, guerriero in campo medico e non solo, quale gli esempi e la determinazione visto che Lei è stata e continua ad essere un affermato cardiologo?
Devo a mio padre (e ad entrambi i miei genitori), la determinazione ad andare avanti nella professione, nonostante gli ostacoli e le difficoltà. I loro erano tempi duri, hanno attraversato la guerra in “Nord Italia” (come si usava dire allora), quando erano “internati” dentro il Sanatorio sull’isola di Saccasessola a Venezia. Allora bisognava agire, preferibilmente con decisione e razionalità. Per quanto riguarda me, amo dire che sono stata “caricata a molla”, una carica che ancora perdura nel tempo.
Lei, da figlia di un grande uomo e altresì medico addentrata politicamente per scelta in quanto ci crede nel cambiamento culturale e soprattutto socio sanitario, cosa si aspetta e cosa vorrebbe cambiasse?
L’ impegno politico è stata una mia scelta autonoma, sganciata in qualche modo dalle tradizioni familiari. Mi è rimasto però l’ottimismo, in quanto ho vissuto la guarigione e la parziale ripresa fisica di mio padre, in un clima familiare finalmente gioioso e felice per i risultati raggiunti. Quindi SO ( emotivamente so), che il cambiamento positivo è possibile, che è possibile e giusto impegnarsi per tentare di migliorare quanto di sbagliato e di scomposto c’è nella società in cui viviamo. Cosa vorrei? La completa attuazione e funzionalità della Casa della Salute a Siderno (o Casa di Comunità come si dice adesso) e un Ospedale territoriale (l’Ospedale di Locri) libero dalle annose criticità e incongruenze in cui si dibatte. Finalmente un Ospedale autonomo per ciò che riguarda la Sanità di primo e secondo livello, collaborante con gli Ospedali più grandi e più giustamente attrezzati per le Alte e Altissime Specialità. E poi vorrei una Locride più interessata alla Cultura, alla salvaguardia e testimonianza del passato che ha attraversato questi nostri posti
A nome della redazione, un grazie per la collaborazione e ancora congratulazioni.