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Non si vuole entrare nello specifico di tale, privata, situazione da rispettare con il silenzio, ma può essere, ancora una volta!, che un cittadino italiano venga innalzato sull’altare del malaffare, a cui affibbiare tredici anni – diconsi tredici! – per poi arrivare a sbriciolarli fermandosi ad uno e mezzo, ma con la possibilità che neanche quello? Ma che giustizia è mai questa? Spiace la “malagiustizia” che dovrebbe essere più profonda ed approfondita prima di far sprofondare nel limbo chiunque; spiace per quello schema che non c’è più. Asfaltato. Polverizzato. Cancellato. Anche e soprattutto da chi, per esso, non ha speso neanche un aggettivo, un sostantivo o un predicato verbale, che ha fatto ancora più male di chi, al contrario ha parlato e pure troppo. Contro, o a favore…
di Antonio Baldari
La copertina di tutti i mezzi di comunicazione, perfino di quelli che non…comunicano, è tutta per lui: Mimmo Lucano detto “ ‘u curdu” che si è visto quasi del tutto depenalizzata la condanna di primo grado, in illo tempore stabilita in anni 13, e nella giornata di ieri con il secondo grado portata ad un anno e mezzo su cui, per stessa ammissione del legale difensore, Andrea Daqua, sarà avanzato ulteriore ricorso a causa di una “determina”, un provvedimento di poco conto, evidentemente, su cui si intende fare ulteriormente luce azzerando il pondo da portare.
Come sempre non si intende in questa sede, come in tutte le altre genericamente deputate, ad entrare nel merito dell’acclarata sentenza giacché, come si insegna, “Le sentenze si rispettano” e quindi non è nostro intento entrare a far parte dei cori e/o tifo da stadio che in queste ore stanno schierandosi pro-Lucano o versus-Lucano: ad onor del vero sono più i “pro” che i “versus” perché è tipico di questo, strabenedetto, Paese chiamato Italia a stare dalla parte della vittima e non già del carnefice, di certo il pianto liberatorio ripreso dalle tv di tutto il mondo sa tanto di una disperazione interiormente covata, metabolizzata, quasi del tutto calcificata prima, però, di avere giustizia dalla giustizia terrena che, com’è notorio, è merce rara soprattutto nella culla del diritto romano.
A maggior ragione non si vuole entrare nello specifico di tale, privata, situazione da rispettare con il silenzio, quindi tacendo, ancorché nasca spontanea una considerazione, da umili cittadini dello Stivale che ancora una volta hanno visto un uomo; un sindaco e dunque rappresentante delle istituzioni; che – non lo si dimentichi – per ben due volte ha giurato sulla Costituzione italiana e di “osservarne fedelmente le leggi”; il generoso simbolo di associazioni e/o cooperative operanti nel mortificato territorio della Locride, “periferia delle periferie d’Italia”, con il quasi esclusivo intento di ridare la vita a chi la vita l’aveva persa (quasi perché c’aveva pure i catinazzi suoi per la testa riconducibili alla sua attività di primo cittadino riacese, e quindi dovendo pensare anche all’ordinaria amministrazione del Comune che egli era stato democraticamente chiamato a rappresentare); insomma, un cittadino italiano innalzato sull’altare del malaffare, a cui affibbiare tredici anni – diconsi tredici! – per poi arrivare a sbriciolarli fermandosi ad uno e mezzo, ma con la possibilità che neanche quello? Ma che giustizia è mai questa?
Sì, vabbè, Lucano quasi del tutto assolto ma non si può assistere a queste porcherie di un uomo che lo metti al pubblico ludibrio per poi quasi chiedergli scusa per averlo così maltrattato, e con lui l’intera Comunità di Riace, fatta passare per una manica di balordi, affaristi, approfittatori, loschi figuri che hanno lucrato sulla pelle, nera o giù di lì, di poveri malcapitati giacché, è bene sottolineare con il pennarello rosso a chi lo avesse obliato, “ ‘u curdu” non ha mai fatto tutto da solo essendoci stato sempre qualcuno con lui, poi si diceva “Mimmo Lucano”, perché aveva magari le spalle più forti, ma non era soltanto lui. E qui viene il secondo elemento, il più grave a nostro, modestissimo, avviso, di una sentenza che ha avuto il potere di scontentare tutti, anche gli stessi sampietrini di Riace: l’altrimenti detto “modello Riace”.
Perché se è vero com’è vero che si diceva “Mimmo Lucano” perché si voleva colpire lui, in realtà, una sottile quanto sogghignante regìa ha colpito (volutamente?) il modello che era arrivato fino alla fine del mondo perché sapeva dare spazio a tutti: per chi la conosce, Riace non è una metropoli poi così capiente, da dimensioni extralarge tanto per intendersi, eppure ci sono entrati tutti, c’è stato spazio per tutti: come mai? Che cos’ha di così magico Riace che altri non hanno? Per entrarci tutti qualcosa ci deve’essere che può essere l’amore incondizionato per l’essere umano. Anzi, lo è, l’amore per l’essere umano.
Che qualcuno ha (volutamente?) scambiato per altro, volendosi, magari, sostituire a Mimmo Lucano? Per soldi? Profitti? Si ricorda che un certo Gesù di Nazareth fu messo in croce dopo essere stato venduto per tre monete d’oro, significando con questo che, come recita un antico adagio, “I soldi fanno venire la vista ai ciechi”; qualcuno, un giorno ce lo dirà, quando magari il sipario sarà del tutto giù, Mimmo “ ‘u curdu” sarà impelagato altrove, in altri “modelli”, chissà, e senza ricevere proposte di candidature capestro o trappola.
Certamente spiace la “malagiustizia” che dovrebbe essere più profonda ed approfondita prima di far sprofondare nel limbo chiunque; spiace il “modello Riace” che non c’è più. Asfaltato. Polverizzato. Cancellato. Anche e soprattutto da chi, per esso, non ha speso neanche un aggettivo, un sostantivo o un predicato verbale, che ha fatto ancora più male di chi, al contrario ha parlato e pure troppo. Contro, o a favore…