di Simona Masciaga
MILANO – Ben 13 minuti di applausi hanno salutato il Don Carlo di Verdi, ieri all’evento nazionale per eccellenza della lirica italiana. La prima alla Scala di Milano, da sempre considerata l evento clou della musicologia, della cultura e della mondanità nazionale, ha dato il via alla stagione lirica 2023/24 con un’opera verdiana molto discussa è discutibile per contenuti ed argomenti nonostante, il Don Carlo, abbia raggiunto la sua quinta rappresentazione in open stagionale.Sul palco reale presenti, oltre al sindaco Giuseppe Sala, Matteo Salvini e Ignazio La Russa, la senatrice Liliana Segre accolta con un caloroso applauso dall’intero pubblico e un urlo :” No al fascismo” proveniente dal loggione dopo l esecuzione dell’ Inno di Mameli; urlo che ha spiazzato il direttore d orchestra Riccardo Chailly, il quale ha attaccato l’ouverture del primo atto con imbarazzo e titubanza.
Inevitabili dinieghi, futili e incongruenti manifestazioni esterne, oltre ad un orrendo albero di Natale fatto di scatolame offerto da Sephora, e piazzato proprio davanti al teatro ( molto meglio il lampadario di Dior dello scorso anno), l’opera ha preso il via nei suoi ben 4 atti ( in origine erano 5, ma qui si è partiti già dal secondo per ben 4 ore di opera!) suscitando,in chi è rimasto vigile, interesse e approvazione.Fedele alla tradizione nella scenografia voluta tale da Lluis Pasqual, che finalmente ha soppiantato il ” Come incarnare nella modernità il classicismo” di Davide Livermore, sì è riusciti a restituire a Verdi la sua opera per come intesa e concepita in piena totalità; un apprezzamento va alla grande costumista Franca Squarciapino la quale ha realizzato gli abiti, pezzi unici e ricamati a mano tra cui la abito di raso in seta di Elisabetta di Valois, tessuto donato da un setificio comasco: la seta nera è simbolo di ricchezza, potenza e dominio.
Il Don Carlo, nella sua nera e tetra scenografia, infatti, simboleggia il potere, il dominio e, altresì, celare il dramma; quest’opera chiude la trilogia del dramma e del potere( Attila- Boris Godunov- Don Carlo) concepita da Chailly dove sete di dominio, terrore, prevaricazione, patriarcato, protagonismo, orgoglio contravvengono ad ogni legge morale e sociale: tre opere passate ma sempre all’avanguardia e comunicative nel messaggio annunciato. Potere e amore che si intrecciano, rapporto conflittuale tra padre e figlio, sete di potere, inquisizione, religione; una sorta di romanticismo a ben 360° quello concepito da Verdi e tanto caro a Manzoni che ne fece il consulente esterno al libretto di Joseph Mery e Camille Du Locale tratto dal dramma di Friedrich Schiller; un’opera che congloba in pienezza il concetto di romanticismo,sia esso d oltralpe come un violento Sturm und Drang, quanto più un esigente necessità di patria unità presente nel nostro romanticismo nazionale.
È tutto sommato un’opera della maturità verdiana, certamente per esperti e meno conosciuta ai comuni per arie e romanze. A nostro avviso, la grandezza dell’opera in se stessa, sta proprio nella mancanza di arie e nella complessa difficoltà tra voci e orchestra nei frequenti recitativi. Teniamo conto di un metronomo che scandisce il tempo e i valori vocativi e lo strumento musicale entra ed esce dal recitativo facendo il gioco della voce: la voce recitativa è la vera protagonista e non più la musica che ne diviene supporto. Su ciò ne siamo pienamente d’accordo ma nonostante la perfetta tecnica esecutiva di Michele Petrusi( Filippo II) Francesco Meli( don Carlo) Anna Netrebko ( Elisabetta di Valois) abbiamo trovato l opera sotto tono, poco entusiasmante, e soprattutto troppo troppo lunga e noiosa.
Dobbiamo però dare un 10 e lode per intero a Luca Salsi baritono nella figura di Rodrigo Marchese di Posa specie nel duetto del primo atto con don Carlo dove il tema dell’amicizia intima e introspettiva viene eseguito in maniera sublime e perfetta più che all’intera performance.