di Antonio Baldari
Il rappresentante del patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e presidente dell’osservatorio sulla libertà religiosa nel Mediterraneo afferma senza tanti giri di parole che “Il conflitto non è di carattere religioso ma politico, è strano che un paese che produce petrolio muoia di freddo…” Ed ancora: “L’interesse mondiale è l’Isis dimenticando lo stato siriano, perché le Nazioni Unite non intervengono? Forse papa Francesco ha fatto qualcosa, non so, ma si fermi la guerra finché si è in tempo!”
STILO –“For you and all Sirians we pray”. “Stop war, love is all we need”. Campeggiano queste frasi fra le tante che scorrono via con le sferzanti immagini di città poste sotto assedio, bombardate e che sono al freddo e al gelo per una grave carenza di riscaldamenti.
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Frasi impresse su cartelloni colorati da bambini sorridenti e per nulla intaccati dal fragore omicida dei razzi e delle armi che lì fuori, ad Aleppo e dintorni, la fanno da padrone, “Li teniamo insieme perché vogliamo che crescano nella pace”; a dirlo e sua eccellenza Elias, vescovo della Valle dei Cristiani in Siria, rappresentante del patriarcato greco-ortodosso di Antiochia, professore di islamologia all’università di Balamand in Libano, e presidente dell’Osservatorio calabro sulla libertà religiosa nel Mediterraneo.
L’occasione gli è data dal meeting “La libertà nel Mediterraneo: l’odierna situazione in Siria” a Stilo, nel cuore dell’entroterra jonico calabrese dove il vescovo siriano parla a braccio per un paio d’ore evidenziando quelle che sono le delicate vicende che si vivono in Medio-Oriente, con 1400 moschee andate distrutte e di cui rimangono desolanti macerie; il primo piano di alcune suore che sono state rapite; di Basilians Nassau martire, e infine di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita italiano che ha subito il feroce ostracismo del governo siriano e di cui ancor’oggi è ignota la sorte: Elias prova a dipingere un quadro che “non è proprio a tinte fosche sotto il profilo religioso perché fino a poco tempo fa c’era la normalissima tensione, che c’è sempre stata fra cristiani e musulmani, con le aspre contese fra sunniti ed alauiti ma il tutto nel vivere quotidiano normale – afferma il vescovo – un giorno sono andato ad incontrare una comunità di musulmani, sviluppandosi i primissimi focolai di guerra, ed in tanti mi dicevano di non andare ma io l’ho fatto per amore del Vangelo e del messaggio di pace datoci da Gesù ed è finita che il figlio del capo di quella comunità, dopo avere io parlato loro, mi ha abbracciato e mi ha baciato, davanti a tutti loro, poi però con il passare del tempo sono entrate altre persone nel territorio nazionale, con altri interessi, e le cose sono cambiate” – dice con una certa ermeticità il vescovo Elias.
Tentando di dribblare il cronista che gli è innanzi e che, invece, vuole sapere di più. Andando più a fondo di ciò che ormai è di dominio mondiale, e sua eccellenza non si tira indietro sia pur tentennando nel non esporsi troppo quando afferma che “Beh, non posso proprio specificare che tipo di interessi ma se una nazione come la Siria produce petrolio e poi scopre di morire di freddo La lascio immaginare quali interessi ci sono – asserisce Elias – oggi in Siria c’è gente, straniera, che prende lo stipendio per non contribuire alla pacifica convivenza, perché, vede, la guerra non è di carattere religioso come si potrebbe pensare ma politico”.
Il tono della voce si fa più pacato e riflessivo toccando questo tasto dolente, molto dolente. Perché prende di petto “gli Stati Uniti d’America e l’Organizzazione delle Nazioni Unite che non stanno facendo nulla per fermare la guerra, forse papa Francesco ha fatto qualcosa, non so, ma ci si muova finché si è in tempo – riprende con ancor più vigore – oggi si parla tanto dell’Isis, di questi gruppi islamici fanatici della guerra e del fondamentalismo ma sa perché? Perché c’è interesse anche lì, un giro di interessi economici dimenticando la Siria ed il Medio Oriente, di come stia morendo questa nazione dove i cristiani tra un po’ saranno costretti ad andare via e di come non passerà molto e quell’area geografica sarà una bomba visto che l’economia è già crollata, non abbiamo petrolio e non c’è riscaldamento nelle case, non c’è lavoro e non c’è futuro”.
Tornando però, ancora una volta, al sorriso innocente di quei bambini, fortunati, che sono soltanto sfiorati dalla guerra e che vengono ospitati in quella che è una vera e propria oasi di pace, appellata “Center of Peace for Children”, ossia il Centro della Pace per Bambini, “L’altro giorno alcuni di loro, svolgendo una delle tante attività per distrarli da ciò che accade fuori, mi hanno chiesto di non andare via, di non lasciarli da soli, questi figli chiedono di non abbandonarli e noi non scappiamo ma si fermi la guerra, si fermino le violenze, e si rispettino le decisioni, noi non ci stiamo al gioco di interessi di questo o di quell’altro Stato straniero – epiloga sua eccellenza Elias – il corpo della Siria è malato ma non so pensare ad una Siria senza cristiani”.
Si fermi la guerra, tutto ciò di cui ha bisogno la Siria è amore.