di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte web)
Dove è andato a finire l’inverno? Forse in un libro delle elementari, forse nelle poesie di Rodari? E il ghiro dormiglione della canzone di Morandi? Si aggirerà nei boschi sonnacchioso e irrequieto? “ Le mezze stagioni non esistono più”, mantra che ci ha accompagnato da almeno vent’anni, è stato sorpassato in corsa e si è dissolto come neve al sole con buona pace di tutti. A proposito di neve, quella coltre bianca che ci permetteva di scivolare con gli slittini, la ricordate? Ora si estende (si fa per dire) a macchia di leopardo tra arbustelli e ranuncoli incerti se mettere, oppure no, la testa fuori. E perché no? Anche gli armadi quattro-stagioni devono essere “ripensati” per noi novelli omini Michelin che ci vestiamo a strati e teniamo a portata di mano gli indumenti per ogni sbalzo di temperatura.
E se il cambio dell’ora legale ci procura talvolta fastidi, il succedersi volubile, o meglio l’intersecarsi delle stagioni, ci disorienta e destabilizza anche il nostro metabolismo. Ammiriamo lo schiudersi dei fiori degli alberi da frutto, a gennaio, sempre con rinnovato stupore… che colori i peschi in fiore! E gli stupendi tappeti di mimose!… ma in fondo il meravigliarsi pieno di gratitudine, per la rinascita della natura, cela un’inquietudine di fondo, una diacronia fra quello che vediamo e quello che ci aspetteremmo di vedere. Poi al mercato l’amara sorpresa (che non ci sorprende più): la frutta è troppo acerba o è caduta a terra prima di maturare o addirittura non c’è stato nessun raccolto per la siccità. L’eziologia del cambiamento climatico è conosciuta, le sue disastrose conseguenze sull’habitat del Pianeta e sugli esseri viventi sono sotto gli occhi di tutti e, quel che è peggio, ci appaiono quasi inutili i comportamenti virtuosi che i singoli possono mettere in atto, possiamo mettere in atto.
Anche a voler essere ostinatamente ottimisti, il problema continuerà ad esacerbarsi per la politica miope (in realtà mai ci vide così tanto bene) di vari Paesi in cui prevalgono, come solitamente nella storia, interessi di immediato riscontro economico forieri alla lunga di esiti distruttivi. Sembra scomparsa, di sicuro almeno dall’interesse dei mass-media, anche la Greta internazionale che aveva fatto storcere il naso ai detrattori (spuntano sempre come i funghi) per la strategia di marketing che c’è dietro di lei e che comprende per esempio la pubblicizzata pubblicazione di libri suoi e della madre e un incalcolabile numero di follower sui social.
Le dobbiamo comunque dare atto che, seppure sia stata nel 2018 manifesto umano di una pubblicità catastrofista, ha contribuito ad accendere i riflettori sulle tematiche ambientali e soprattutto ha inferto una scossa all’opinione pubblica giovanile (e non solo).
E i cristiani? Ce lo ha ricordato più volte nei suoi discorsi e soprattutto nell’enciclica del 2015 “Laudato si’ Papa Francesco. Ci parla, il Papa, di un’ecologia integrale in cui devono essere interconnessi non solo la preoccupazione per la natura, ma anche l’equità verso i poveri, l’impegno nella società e quindi anche la gioia e la pace interiore. Occorre per la Terra maltrattata e saccheggiata, come ci dice il Papa, una “conversione ecologica”, un “cambiamento di rotta” affinché l’uomo si impegni per “la cura della casa comune” senza dimenticare che questo impegno include anche lo sradicamento della miseria, l’attenzione per i poveri e l’accesso equo, per tutti, alle risorse del Pianeta. Anche nell’enciclica “ Fratelli tutti” ha ripreso il tema della preghiera per il Creato ed lo scorso agosto ha annunciato di stare scrivendo un’esortazione, il seguito della “Laudato si’ ”. Gli siamo grati perché negli ultimi anni le cose sono mutate in peggio e abbiamo assolutamente necessità di altre sue parole – guida. Siamo quindi custodi e responsabili del Creato, siamo un tutt’uno con esso, con i nostri fratelli e psicologicamente e fisicamente con la natura che ci circonda.
I cambiamenti climatici, infatti, causano nei cicli naturali disordine oltretutto con una velocità a cui le specie faticano ad adattarsi per cui potrebbero venir meno fondamentali servizi ecosistemici come quelli per es. degli insetti impollinatori, che già arrivano in ritardo rispetto alle fioriture troppo precoci. Si assisterebbe quindi ad una progressiva perdita di biodiversità e di conseguenza della sicurezza alimentare umana.
Lo sconvolgimento climatico provoca anche un ritardo nell’inizio del letargo di alcuni animali e una durata più breve di esso. Novità in arrivo per chi non sopporta le zanzare (cioè tutti): come annunciato da un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Oregon, questi insetti, simpaticissimi compagni di notti insonni, sono stati tra i primi organismi ad adattarsi ai cambiamenti del clima mettendo in atto dei veri e propri mutamenti genetici. Infatti dal 1972 ad oggi le zanzare, ritardando di nove giorni il loro letargo a causa degli autunni più tiepidi, riescono a concludere un altro ciclo riproduttivo. E le ritroviamo, tigre e non, svolazzanti quasi ininterrottamente. Invece per quanto riguarda gli insetti impollinatori, da cui dipende oltre il 70% della produzione agricola per la nostra alimentazione, è tutta un’altra storia.
Per la siccità i fiori non secernono più nettare e polline e le api non solo non producono miele, ma non riescono a fornire il loro servizio di impollinazione alle colture agricole. Secondo i ricercatori dell’Università di Milano, l’inverno più corto e più caldo determinerebbe per questi insetti uno stress aggiuntivo per giorni lavorativi in più e il loro ciclo vitale di conseguenza tenderebbe a bloccare le covate. Amaro risultato: zanzare battono api 1 a 0 in casa, anzi nelle nostre case. Avevamo sospettato nelle api un minimo di istinto organizzativo nel darci una mano e le abbiamo scoperte principali artefici della sopravvivenza della biodiversità, ma nelle zanzare no, non avevamo mai creduto! La descrittiva melodia delle “Quattro Stagioni” di Vivaldi, in cui i violini riproducono il canto allegro degli uccelli in primavera, la calura e la tempesta improvvisa in estate, la vendemmia in autunno e soprattutto la pioggia sul terreno ghiacciato in inverno, corrisponderà alla realtà futura o servirà a rinnovare in noi solo un ricordo? O un sussulto di sopravvivenza guarirà un ambiente malato in cui il Sud del mondo subisce le conseguenze politiche del Nord e in cui gli interessi di parte continuano a prevalere su quelli generali? Riusciremo a conciliare le politiche economiche con l’ecologia,la tecnologia con il risparmio energetico, la produttività con l’utilizzo di meno materiali e meno energia? Riusciremo a controllare l’industrializzazione finalizzata solo al profitto e il consumismo sfrenato? O continueremo a domandarci: dove è andato a finire l’inverno? Forse in un libro delle elementari, forse nelle poesie di Rodari?