di Patrizia Massara Di Nallo
ROMA – Nella scuola verranno introdotte nuove tipologie di valutazioni a partire dall’anno scolastico 2024/25.Verrà varata infatti un’altra riforma scolastica e introdotti i cosiddetti «giudizi sintetici» che erano in voga alla fine degli anni Settanta per essere prima sostituiti dai voti, poi dalle lettere e infine dai giudizi, ultimi quelli di tre anni or sono: «in via di apprendimento», «base», «intermedio», «avanzato», considerati oggi poco intelligibili. Pertanto i nuovi giudizi saranno: insufficiente, sufficiente, discreto, buono e ottimo mentre è ancora allo studio l’introduzione del giudizio “gravemente insufficiente”.
Secondo il nuovo disegno di legge, verrà anche cambiato il giudizio sul comportamento degli studenti per poter porre un freno ai casi di violenza e d’insubordinazione. A tal proposito per la condotta sono contemplati: alle scuole medie, il ritorno della valutazione numerica in decimi; la non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato nel caso in cui la valutazione del comportamento sia inferiore a sei decimi; l’introduzione di un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale per gli studenti con una valutazione del comportamento pari a 6/10; il coinvolgimento in attività di cittadinanza solidale (ossia lavori socialmente utili) per gli studenti allontanati a lungo dalla scuola per motivi disciplinari; verrà attribuito nella valutazione complessiva un punteggio maggiore se il voto di comportamento è pari o superiore a 9/10. Inoltre verrà attuato un piano straordinario di vigilanza contro i cosiddetti “diplomifici” che attualmente permettono di recuperare tre o quattro anni di scuola secondaria di secondo grado con un solo esame.
La scuola è stata definita da alcuni osservatori “un’istituzione senza memoria” e questa opinione sembra avvalorata dal seguente breve excursus sulle riforme scolastiche che nell’ultimo cinquantennio hanno riguardato la valutazione da adottare: nel 1977 scompare il voto di condotta per la scuola elementare (ora primaria) e per la scuola media (ora secondaria di primo grado) sostituito da una valutazione globale sullo studente tramite la scheda personale dell’alunno in cui, per la scuola elementare, era prevista una “valutazione adeguatamente informativa sul livello globale di maturazione”, mentre per le medie, si parlava di “motivati giudizi analitici per ciascuna disciplina” e ugualmente di una “valutazione adeguatamente informativa sul livello globale di maturazione”.
Nel 2005-2006 incominciò con prove standardizzate la valutazione istituzionale, avente lo scopo di conoscere e regolare il funzionamento e l’andamento del sistema scolastico, che fu affidata all’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione). Nel 2008 furono abolite le disposizioni del 1977 in quanto la “valutazione del comportamento concorre alla valutazione complessiva dello studente”,si reintrodusse l’uso del voto e si istituì la certificazione delle competenze. Quindi, mentre la valutazione scolastica fino ad allora si basava su un principio di netta separazione tra apprendimenti formali (a scuola), e apprendimenti non formali (esperienze extrascolastiche), la valutazione per competenze si basava, invece, su un principio di integrazione tra apprendimenti formali e non formali, sostenendo che la competenza dello studente passa anche attraverso l’insieme delle esperienze di vita. Pertanto i profili degli studenti sono stati stilati sulla base delle competenze, conoscenze, abilità, responsabilità e autonomia con l’esito dell’apprendimento solo a conclusione di ciascun anno scolastico e dei due cicli. Nel 2009 ecco il “Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni” che fornì un quadro completo delle nuove norme sulla valutazione nel primo e nel secondo ciclo d’istruzione. Nel 2017 si riordinò l’intera valutazione relativamente al primo ciclo di istruzione e si ridefinirono le norme riguardanti gli esami di Stato sia del primo che del secondo ciclo. Nel 2021 è stato adottato il decreto ministeriale del 2017 con il relativo modello di certificazione delle competenze. Nel 2020 un’altra legge previde l’abolizione del voto numerico nella scuola primaria sia per la valutazione intermedia che per quella finale.
Sempre nel 2020 un’Ordinanza ministeriale introdusse nella scuola primaria la “valutazione formativa” sottolineando che la valutazione non è il fine, ma lo strumento per autoregolarsi sul proprio apprendimento. La Costituzione definisce le funzioni precipue della scuola quale istituzione dello Stato: il suo compito è creare condizioni che favoriscano la motivazione, i processi di apprendimento, la valorizzazione delle capacità di ciascuno, rimuovendo gli ostacoli di natura economica e culturale (Don Milani docet).
In pedagogia, invece, si sommano teorie che divergono in base ai valori etici e culturali, ma lo scopo dovrebbe sempre e comunque essere la formazione dell’individuo per il raggiungimento della sua autonomia e integrazione nella società. Purtroppo la scuola è considerata da alcuni uno strumento per accrescere il valore delle conoscenze, competenze e abilità per il raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, da altri come un servizio di aiuto alle famiglie oppure da altri ancora un’azienda, in competizione con altre aziende, da premiare solo sulla base dei risultati prodotti.
Di conseguenza realizzare senza cautele l’autonomia degli istituti e favorirne quindi la competizione (meno bocciati uguale a più iscritti e più prestigio per la scuola, i dirigenti e il corpo docente) ha minato la serietà dell’istituzioni scolastiche e ha trasformato gli istituti in agguerriti contendenti in cui la vittoria è dell’ignoranza e gli sconfitti sono purtroppo gli studenti.
E’da sottolineare comunque che dall’autonomia scolastica sono derivati anche aspetti positivi: l’aumento delle competizioni fra istituti nelle varie discipline e, anche e soprattutto, l’incremento delle offerte formative che oggi spaziano dagli indirizzi tradizionali a quelli più specifici integrati con altre discipline e mirati ad un più agevole collocamento nel futuro mondo del lavoro. Ce ne sono per tutti i gusti o meglio per tutte le abilità.
Un altro degrado organizzativo, che si è trasformato in degrado educativo, è stato anche attuare scelte valutative dall’ etica dubbia (come la concordata levitazione dei voti in sede di scrutinio) semplicemente per accontentare tutti (docenti, discenti e famiglie) appiattendo però il merito nello studio e nel comportamento. Come riporta il Miur, il decreto legislativo del 2017 sostiene infatti che “Per quanto riguarda l’ammissione alla classe successiva, le alunne e gli alunni di scuola primaria saranno ammessi anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione. Per le alunne e gli alunni della scuola secondaria di primo grado, l’ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato, è deliberata a maggioranza dal consiglio di classe, anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento, dunque anche in caso di attribuzione di voti inferiori a sei decimi.”
E anche “La valutazione del comportamento viene declinata in positivo, prevedendo un richiamo diretto allo sviluppo delle competenze di cittadinanza superando il voto in condotta ed introducendo nella scuola secondaria di primo grado la valutazione attraverso un giudizio sintetico.”
Bando quindi nella primaria ai voti, colpevoli di incutere timore, stressare e, aumentando la pressione competitiva fra i compagni, di non far trovare agli alunni una motivazione intrinseca per l’apprendimento. L’eliminazione dei voti oggettivi e dello spauracchio della bocciatura, e quindi l’interpretazione più soggettiva dei giudizi, hanno abituato però gli studenti e le famiglie a considerare la valutazione quasi ininfluente sulla carriera scolastica e da questo alla vanificazione degli sforzi educativi il passo è stato breve. In ambito familiare si è abbracciato l’assioma che come non esistono giudizi tassativi ( i voti ) a scuola, ( e chi ne sa più degli psicologi?) così si devono abolire i “no”, anche se motivati, a casa o forse la correlazione è stata al contrario, come dire se sia nato prima l’uovo o la gallina.
Ma siamo sicuri che il promuovere tutti sia favorevole alla serenità del contesto formativo ed alla motivazione degli allievi più volenterosi costretti a constatare l’annullamento del proprio impegno e un pacifico e democratico risultato finale? L’assenza di una sana competizione fra gli alunni è indolore? E’ un viatico costruttivo per il futuro o induce a credere che basti il malcostume della raccomandazione per inserirsi lavorativamente nella società? Tutte queste domande,ed altre ancora, continuano ad aleggiare, come spade di Damocle, sulle teste delle famiglie responsabili.
La scuola, proprio perché specchio della società odierna e futura, deve comunque essere in continua evoluzione per affrontare le sfide che la realtà ci pone davanti come attualmente le aggressioni e il bullismo. Tutti i pessimi comportamenti perpetuati in alcune classi fino agli anni duemila, quale la selezione asettica, che non è “educare” nel senso etimologico e psicologico del termine, il controproducente clima di tensione nelle classi e il senso di soggezione ( che non è rispetto) nei confronti dei professori (alcuni dei quali alimentavano, a bella posta e per i più svariati motivi, la distanza fra corpo docente e discente), sono stati adeguatamente equilibrati o eliminati ed oggi, in generale, si respira una maggiore distensione collaborativa e un colloquio proficuo con lo scopo di motivare e responsabilizzare gli studenti e, perché no, anche i genitori, tenendo sempre e soprattutto in buon conto il benessere psicologico dei primi.
Una cosa è certa: la pagella ( diminutivo dal latino “pagina”, introdotta dall’ imperatore d’Austria Giuseppe II nel 1783, arrivata in Italia circa un secolo dopo e inserita ufficialmente in tutte le scuole italiane con il regio decreto del 1926 ) ancora oggi, udite udite, continua a racchiudere il valore, non ancora scalfito dal tempo, di un’attesa educativa, di una diretta e sempre emozionante comunicazione, anche se digitale, tra famiglia e scuola e di un’auspicabile e civile collaborazione (non scontro) tra i principali attori della formazione educativa.