Sono sempre e comunque loro, non già perché abbiano delle colpe di cui discolparsi bensì perché le responsabilità, a loro dire, sono altrove e di altrui persone altolocate. Molto altolocate e rispondono ai nomi e cognomi di Giorgia Meloni e di Giuseppe Valditara, “Dobbiamo a loro e solamente a loro la peggiorata condizione di precarietà che viviamo da tanti anni ormai, chi dieci, chi quindici e chi venti anni, se non di più, che loro hanno pensato bene di aggravare andando a raccattare soldi a destra e a manca” – affermano ormai in balìa di una mesta rassegnazione.
di Antonio Baldari
Dopodomani, lunedì 11 marzo, partirà il primo dei due concorsi previsti per quest’anno; a breve, se non sono già iniziati, prenderanno l’abbrivio i percorsi per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento ma il mondo della Scuola è sempre e comunque in subbuglio: il motivo? È presto detto, constando in una sola, piccola, ma significativa parola: precari.
Sì, sempre e comunque loro, non già perché abbiano delle colpe di cui discolparsi bensì perché le responsabilità, a loro dire, sono altrove e di altrui persone altolocate. Molto altolocate e rispondono ai nomi e cognomi di Giorgia Meloni e di Giuseppe Valditara, la prima giacché presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana; il secondo poiché ricoprente la carica di ministro della Repubblica Italiana con delega all’Istruzione ed al Merito, in ossequio alla nuova e più recente denominazione.
“Dobbiamo a loro e solamente a loro la peggiorata condizione di precarietà che viviamo da tanti anni ormai, chi dieci, chi quindici e chi venti anni, se non di più, che loro hanno pensato bene di aggravare andando a raccattare soldi a destra e a manca, quei soldi che tra l’altro non abbiamo perché non stiamo lavorando e chi può avercelo un lavoro, adesso, può pensare solo di coprire le spese, quindi…”, dicono sommessamente, sentendoli un po’ qua e là, quasi versanti in una condizione di mesta rassegnazione, giunti al capolinea di un sogno.
Che è stato accarezzato per tantissimo tempo, che quasi non si vive più lasciando il posto ad un ignoto orizzonte che conduce maggiormente verso il buio pesto del domani che non già verso la luce di un futuro da riscrivere; anzi, se proprio si vuole andare a cercare un sia pur minuscolo spiraglio di ottimismo e di speranza che le cose possano cambiare, chiaramente in meglio, loro – i precari della scuola – rincarano la dose.
Ed affermano sostanzialmente che “Noi al ruolo non ci arriveremo mai perché il concorso, intanto, non è più abilitante come fino a qualche tempo fa, devi passare lo scritto ma quanti hanno studiato per poterlo fare, avendo dovuto lavorare un minimo per potersi sostentare? E chi ha figli, credete che si sia trovato in una posizione comoda per pensare a questa prova? Prova che poi, è bene sottolinearlo, ti manda all’orale e per quella miseria di posti che c’è al Sud ci sono forti dubbi che si vada avanti: uno può obiettare di andare al Nord, e noi replichiamo che non ce la si fa più ad andare su perché da su se ne stanno ritornando tutti in quanto non ce la si fa con le spese, capito?”.
Ed ancora, mettendo che ce la fai a superare il concorso, devi andare per i benedetti Crediti Formativi Universitari, brevemente detti CFU, “Che però ti costringono a seguire completando il percorso a quota 60 crediti per 2mila-2mila 500 euro, se ti va bene, con esame finale che ti partono altri 150 euro, ne vogliamo parlare? Qui siamo solo dei puri e semplici bancomat di Stato, obbligati a foraggiare ora questa ora quell’altra università, pubblica o online che sia, altroché! Terzo gradino che si deve salire è il cosiddetto “anno di prova”, che sarebbe meglio chiamare “anno della beffa” per noi che abbiamo scarpinato per tanti anni, su e giù per le scuole di paesini anche in culo alla montagna, che non abbiamo proprio niente da…provare!”.
Insomma, una vera e propria “via crucis”, considerato che siamo in pieno periodo quaresimale, che dovrebbe concludersi con un ulteriore esame “Che devi superare perché puoi anche essere bocciato e rifare tutto daccapo, capito? Cioè, una cosa pazzesca che non se ne esce più se non con una montagna di soldi ed i classici calci nel sedere, di quelli dati da chi sta in alto per farti andare avanti ma a prezzo di chissà che cosa in cambio!”. Ed amen!