LOCRI – E’ stata un’udienza molto tecnica quella del processo “Recupero-Bene Comune” iniziata alle 11,30 e conclusa alle 18,30 di oggi.
Quasi sei ore, infatti, sono state impiegate per completare l’esame del testimone Emanuele Campolo, Maresciallo dei Carabinieri, che ha così elencato una lunga serie di allegati all’informativa redatta dai militari dell’Arma per corroborare la tesi degli inquirenti, volta a mostrare l’esistenza di un vincolo associativo di intraneità degli imputati alla consorteria criminale dei Commisso di Siderno, anche attraverso le sue articolazioni nel territorio, come nel caso della popolosa contrada Lamia. E così, il maresciallo ha esposto tutta una serie di intercettazioni ambientali (realizzate soprattutto nell’auto dell’imputato Muià Francesco), telefoniche e videoriprese attraverso le telecamere fissate nei punti strategici della zona Ovest di Siderno, tese ad evidenziare i rapporti sistematici di tipo associativo tra tutta una serie di soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere e sotto processo, come, tra gli altri, i fratelli Michele e Giuseppe Correale, Michele e Antonio Costa, Antonio Futia, Domenico Futia ecc. Nelle conversazioni captate a bordo della Mercedes di Francesco Muià, infatti, si parlava di tutto: questioni familiari, affari, fatti di cronaca cittadina anche inerenti pregiudicati per associazione a delinquere di stampo mafioso (lo stesso ascritto ai soggetti alla sbarra nel processo in questione) ma si faceva spesso riferimento alle attività riconducibili a delle piantagioni di canapa indiana in contrada Passoleo e in altre aree rurali di Siderno (la prima è stata posta sotto sequestro il 17 luglio del 2009 con conseguente arresto dei soggetti colti in flagranza di reato), come ha raccontato, prima dell’escussione del teste Campolo, il maresciallo Luigi Zeccardo, comandante della Stazione di Siderno dei Carabinieri, che coordinò l’azione di sequestro del terreno. Già, perché il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, e il presunto vincolo associativo riconducibile al 416bis, sono contestati agli imputati che hanno seguito l’udienza odierna nell’area a loro riservata. Il lungo elenco di intercettazioni, ognuna delle quali consta di mezzora di registrazioni ambientali e/o telefoniche e costituisce un allegato con numerazione progressiva dell’informativa principale, comprende l’identificazione dei conversanti e dei soggetti citati nei dialoghi, attraverso nome, cognome, anno di nascita ma anche e soprattutto soprannome. La lunga sfilza di allegati, il cui progressivo è stato diligentemente annotato volta per volta dai numerosi avvocati difensori presenti, è proseguita fino alle 17,15, quando è iniziato il controesame, durato poco più di un’ora e basato, essenzialmente, su singole contestazioni riguardanti l’identificazione dei conversanti e dei soggetti citati nei dialoghi, scavando tra le pieghe delle possibili sbavature o approssimazioni rese in fase di trascrizione dei dialoghi, anche se all’inizio i legali hanno contestato il metodo in sé, specie quando l’avvocato Rositano, difensore di Salerno Vincenzo, ha contestato la rilevanza di alcune intercettazioni telefoniche non trascritte nel fascicolo. Dal canto suo, il maresciallo Campolo ha risposto che «Le intercettazioni telefoniche non servono solo a dimostrare singole fattispecie di reato, ma aiutano a capire le frequentazioni, i legami (anche solo telefonici) dei soggetti in questione e forniscono informazioni utili e dati di fatto, anche se non strettamente rilevanti per il caso di specie». L’avvocato Antonio Speziale, difensore di Correale Michele e Futia Antonio è andato oltre, contestando quello che definisce «Un sistema identificativo di natura deduttiva» che quindi, secondo lui, non sarebbe sufficiente a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, «che i soggetti identificati in talune circostanze siano proprio quelli ai quali gli inquirenti hanno attribuito dichiarazioni e riferimenti». Si tratta, naturalmente, di contestazioni sui singoli allegati, come nel caso di quelli rilevati dall’avvocato Menotti Ferrari, difensore di Correale Giuseppe, che ha contestato altri punti specifici, da quelli in cui viene identificato col soprannome di “Sparacaglia” in una data che Menotti Ferrari reputa antecedente alla scoperta dell’attribuzione del soprannome dell’imputato, così come il metodo d’identificazione della voce degli intercettati, che sempre secondo l’avvocato non sempre viene utilizzato in maniera univoca o quelle che il professionista reputa «discrepanze tra i dati intercettati e quelli trascritti». Il maresciallo Campolo ha ribadito i criteri d’identificazione utilizzati, non ultimo il ricorso ai cartellini in possesso dell’ufficio Anagrafe del Comune che vengono aggiornati al momento del rilascio della carta d’identità, riferendo pure come alcune circostanze contestate da Menotti Ferrari possano dipendere dai differenti momenti dell’intercettazione e della trascrizione, distinti tra loro e spesso lontani nel tempo. Ma è solo l’inizio. Il controesame del teste Campolo, infatti, proseguirà il prossimo I febbraio.
GIANLUCA ALBANESE