di Domenico Savica
BOVALINO – Sento bussare alla porta e una voce amica che mi chiama; è il poeta Franco Blefari di Benestare e mi affretto ad andargli incontro, ma mi anticipa nel saluto: “Questo è il mio regalo di Natale”. Nelle sue mani, come uno scrigno, teneva l’ultimo suo capolavoro un libro di poesie “rigorosamente dialettale“ “come suo uso e costume” dal titolo ‘A NOTTI SANTA’ che ancora aveva l’odore di tipografia. Sfogliando, al primo impatto leggo la dedica, “a mia figlia Elena che “amorevolmente” leggeva ai suoi alunni di scuola elementare ad Arconata (Mi) le mie poesie in dialetto calabrese.”
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Ormai gli amici si contano uno per uno, quelli che il tempo e le difficoltà hanno dichiarato amici per sempre e splendono nel nostro cammino. Franco Blefari è uno di questi, con la sua onestà d’animo e il suo racconto sempre splendido dei ricordi del tempo che nessuno mai può cancellare. Con il suo dono mi ha ricordato che fra poco è Natale. E i ricordi invadono la mia mente e mi immergo nel tempo passato, quando, bambino, si aspettava il Natale nella sua maestà di festa e nell’attesa del giorno. Si aspettava la sera per accompagnare gli zampognari nella notte per i vicoli del paese, mentre una luce soffusa illuminava l’interno delle piccole case dove si respirava umiltà e povertà, ma anche pace e aria di festa, nell’attesa dell’ appuntamento di Natale che nessuno può togliere o negare. E la sera, seduti a casa, con amici e conoscenti, davanti al focolare, iracconti si intrecciavano: i fatti, le cose venivano fuori, con grande sincerità, si ricordavano personaggi del passato che emergevano con tutte le caratteristiche, mentre il focolare ardeva, nella serenità quotidiana di ogni uno di noi. Oggi, sul far della sera, alcuni giovanetti in gruppo, armati di strumenti raccogliticci, improvvisano la novena e con i loro canti indecisi e stonati cercano di avvisarci che sta per arrivare Natale. Mi balza agli occhi la copertina del libro, dove è riprodotta la nascita di Gesù Bambino, dopo che Maria e Giuseppe avevano peregrinato alla ricerca di un capanno o di una mangiatoia come la chiama il poeta Blefari. Mi perdo con la fantasia in quei piccoli spazi del presepe, alla ricerca dei particolari, mi balza alla vista il fabbro, che batte sull’incudine il ferro che diventa sempre più rosso, l’argagnaro con la sua pasta di creta intento a modellare quello che la sua fantasia gli detta. Osservo i Re Magi, che con la loro imponenza mettono soggezione a guardarli, il pastore con il suo gregge segue il cammino con il cane amico e controlla il pascolo nell’immenso prato verde, le donne che portano l’acqua e la legna per il fabbisogno quotidiano e la sopravvivenza familiare, il ciabattino che si affanna a battere la suola con suo ritmo incessante, il venditore ambulante che sembra gridare a squarcia gola le sue mercanzie, il pescatore con il suo lago finto, Il percorso dei vicoli con le sue capanne e le montagne che circondano il presepe. Pur nel silenzio di questa visione, mi è sembrato di sentire tutti i rumori della quotidianità, eppure era tutto fermo. Questa è la grandiosità del poeta Franco Blefari, nel descrivere grandi e piccoli eventi e farceli vivere, raccontandoli nella piena semplicità e nel pieno riscontro del profilo poetico. Ci siamo messi a ricordare i tanti anni trascorsi, gli eventi, gli amici, così come si faceva una volta davanti al focolare e inevitabilmente, al ricordo del professor Pasquino Crupi entrambi avvertiamo un velo di malinconia nell’atmosfera augurale della festa.