di Patrizia Massara Di Nallo
Lo scrittore e giornalista Daniele Biella ci racconta la vera ed appassionante storia di Nawal Soufi, giovane di origini marocchine, arrivata da piccolissima a Motta Sant’Anastasia in provincia di Catania e oggi pienamente integrata tanto da venire riconosciuta da tutti come la “muttisa”, cioè abitante di Motta. Nawal, il cui nome significa letteralmente dono, ama definirsi semplicemente “attivista per i diritti umani”, ma in realtà riassume in sé tante figure.
E’ stata soprannominata dalle Forze dell’Ordine “peperoncino” per il suo temperamento risoluto e le sue manifestazioni incisive, come quella realizzata con mezzi improvvisati davanti al Teatro Massimo di Catania durante la quale divulgò filmati inediti dei bombardamenti in Siria. Per i distratti passanti quelle immagini, lontane per particolarità di luogo e immediatezza di fruizione dal rischio di assuefazione mediatica, furono di dirompente impatto emotivo. Yamma Nawal, mamma in arabo-palestinese, è un altro dei tanti appellativi di questa ragazza che ha iniziato la sua avventura a piccoli passi, dapprima rifocillando i profughi con cibo e indumenti (non di rado anche italiani stessi in precarie condizioni economiche le si avvicinavano per chiederle qualche vestito) e poi facilitando il loro approccio con la lingua italiana e con la burocrazia delle pratiche legali. Sono questi i primi momenti, dopo i pericoli passati in mare, in cui nei profughi prevale la solitudine e lo sgomento, la disillusione e la vulnerabilità, quando cioè è necessario restituire il calore dell’essenza umana “sorriso e tanta dignità” come ribadisce nella prefazione il cardinale Francesco Montenegro. Un’altra sfida è stata quella di sottrarre i migranti alle mire degli sciacalli di turno, cosiddetti scafisti di terra, consigliandoli, indirizzandoli e permettendo loro di partire verso il Nord Italia o Nord Europa senza diventare ancora una volta vittime inconsapevoli. Come gli uccelli sono liberi di migrare così lei vorrebbe fosse tutta l’umanità perché “l’essere umano ha una sola patria, il pianeta in cui vive”.
Ma il giorno che impartì una svolta alla sua vita fu quello del primo soccorso telefonico. Dopo un coraggioso viaggio in Siria era stata spinta da un naturale percorso interiore ad un più consapevole impegno nel salvataggio delle persone in balìa del Mediterraneo “affrontano i viaggi in mare per eccessiva speranza non per disperazione” e grazie alla fiducia acquistata nei rapporti con tanti attivisti e poi ad uno spedito passaparola, i profughi iniziarono a far riferimento alla sua voce per lanciare i primi S.O.S. e comunicare la posizione delle imbarcazioni alla deriva.
E’ proprio l’angelo dei profughi che giorno e notte con trepidazione e decisione risponde al +88 dei satellitari, tranquillizza i profughi riuscendo a far rilevare le coordinate e fa da tramite con i soccorritori. Inoltre tutti i dati e le informazioni raccolte e messe sul proprio sito sono state riprese da Al Jazeera, dalla BBC e dall’Ansa conferendole di fatto lo stato di pseudo-agenzia di stampa per l’attendibilità dei dettagli e la credibilità di cui si è ammantato il suo lavoro.
L’A. sottolinea come “dove mare e cielo combattevano un duello senza sosta” anche i tratti più brevi di traversata in mare facciano la differenza tra la vita e la morte in una lotteria di apatia degli uni e caparbietà degli altri, disperazione di molti e tenacia di pochi. “Risponderò alla mia coscienza che s’interroga sul senso della vita” e si è imbarcata anch’essa in un mare, non meno insidioso e vorace di quello reale, che ha reso la sua vita un vortice tra il lavoro di intermediatrice culturale e gli studi di scienze politiche, le notti in allerta attaccata al telefono e le giornate trascorse alla stazione di Catania, il rapporto con la famiglia di origine e il sogno di ogni ragazza di crearsene una propria. Pur faticando talvolta ad alzarsi dal letto per l’eccessiva stanchezza, nel corso degli anni si è barcamenata tra i Cie, i Cara e l’organizzazione di una famosa carovana di aiuti per Homs.
Oggi continua ad essere fucina di iniziative talvolta temerarie nel tentativo di scuotere le coscienze dei più, senza però mai perdere di vista, giorno dopo giorno, l’elargizione di aiuti concreti. E’aiutata dalla sua amica siciliana Agata, con la quale ha condiviso anche momenti di pericolo, e da una rete di volontari, soprattutto di Milano, che accolgono i profughi al loro arrivo nel capoluogo lombardo. E proprio qui nella Foresta dei Giusti è stato piantato un albero in onore di Lady S.O.S.
Un toccasana per l’anima “Il migliore innesto di speranza per il futuro” è il rapporto che s’instaura fra profughi e volontari e che spesso scaturisce nel pianto al momento del commiato “perché”, dice l’autore, “ogni buona azione giova a chi la riceve quanto a chi la fa”. E la sua “empatia”, come Nawal definisce l’altruismo, ci rammenta che ognuno di noi potrebbe essere, come si definiva Santa Teresa di Calcutta, “una piccola matita nelle mani di Dio”. D.B. ci presenta così, facendo risuonare tra un capitolo e l’altro le riflessioni della stessa protagonista, un esempio di dedizione, perseveranza e onestà intellettuale (per agire in piena libertà non ha mai accettato proposte di lavoro da enti istituzionali). L’A. talvolta con tono quasi favolistico ci fa scivolare nel mondo silente del volontariato che non scalpita per vedersi riconosciuto ma che riconosce negli altri la propria immagine “potrebbero essere stati mio padre, mia madre , i miei fratelli….” e talaltra con il tono pacato e sommessamente riconciliante di una scrittura limpida e misurata anche nelle descrizioni più inquietanti o raccapriccianti, ci fa inciampare a brutto muso nelle contraddizioni dell’ONU e della politica, dell’essere umano e di noi stessi. Cullano la speranza i melanconici versi “Fammi partire verso qualsiasi terra/ Lasciami andare e dimenticati di me/ Forse un giorno tornerò /Almeno nei sogni” canzone-poesia di un musicista siriano che Nawal fa ascoltare ai profughi prima di ogni partenza.