di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte Unipd)
Un team di ricerca internazionale, coordinato dall’Università di Padova, scopre il ruolo del gene “Mytho” nell’invecchiamento. Infatti il gruppo di ricercatori diretto dal prof. Marco Sandri, docente del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e Principal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), ha identificato e caratterizzato un gene che controlla l’invecchiamento cellulare e la longevità.
Questa scoperta, condotta in collaborazione con la prof.ssa Eva Trevisson, genetista del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova, arriva dopo un lavoro di nove anni che ha coinvolto ricercatori di fama internazionale appartenenti a prestigiosi istituti di ricerca nazionali ed internazionali ed è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista medica di ricerca traslazionale “Journal of Clinical Investigation”.
Lo studio, essendo in parte finanziato da una azione del PNRR nel partenariato sull’invecchiamento, ha permesso la creazione di una rete nazionale di ricercatori che studiano questo stesso processo biologico. Anais Franco Romero, insieme a Valeria Morbidoni, coautrice principale del lavoro di ricerca, ha commentato: «Tutto è cominciato con una ricerca informatica per identificare nel genoma umano potenziali geni, ancora sconosciuti, che potessero avere una rilevanza nei meccanismi che controllano la qualità delle proteine e degli organelli (strutture con membrana presenti all’interno della cellula eucariota, necessari per la sua sopravvivenza e facenti parte del citoplasma cellulare).
Tra i diversi candidati, il team si è focalizzato su un gene che spiccava per essere estremamente conservato tra le diverse specie animali, dall’uomo fino ai vermi, denominato Mytho». Attraverso esperimenti di manipolazione genetica, il gruppo di ricerca ha dimostrato che la sua inibizione provoca una precoce senescenza cellulare (stadio in cui le cellule smettono di replicarsi) e nel “Caenorhabditis Elegans” (modello animale usato dai ricercatori per studiare l’invecchiamento) un accorciamento della vita, mentre la sua attivazione, al contrario, migliora la qualità della vita e permette di mantenere un invecchiamento in salute.
Inoltre lo studio ha caratterizzato i meccanismi molecolari e ha scoperto che questo gene regola il sistema, l’autofagia, che permette la rimozione di proteine ed organelli danneggiati, migliorando così l’omeostasi cellulare. Il prof. Marco Sandri ha sottolineato «Dopo anni di studi siamo arrivati a conoscere qualcosa del nostro genoma, ma la funzione della maggior parte del nostro codice genetico è ancora ignota. Un esempio sono i geni che codificano le proteine, di cui più di 5000, su un totale di 20000, sono completamente sconosciuti. Per questo, negli ultimi anni, abbiamo impiegato risorse ed energie per caratterizzare questo sconosciuto mondo del nostro DNA».