di Osvaldo Daradio
REGGIO CALABRIA – Non fatevi più ingannare dal look e dagli ormai famigerati stivaloni da contadina indossati lo scorso 22 febbraio, alla cerimonia d’insediamento del Governo Renzi, il terzo di fila non eletto dai cittadini. In quella occasione, la farmacista di Mammola trapiantata a Monasterace tanto da diventarne sindaco nel mirino della criminalità organizzata, fu immortalata, forse per un perfido disegno dell’umorismo popolare, accanto all’eterea e principesca Maria Elena Boschi.
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Maria Carmela Lanzetta, però, avrà anche le scarpe grosse, ma il cervello è fino. Eccome. Quanto dichiarato stanotte all’Ansa in ordine alla sua mancata accettazione di entrare nella costituenda giunta regionale calabrese, pone fine a una ciclopica grandinata di balle colossali abbattutasi sui poveri calabresi. Da sabato scorso a stanotte.
Le avevano provate tutte. E tutti. Renzi, vero regista dell’operazione, e impegnato a preparare un rimpasto di Governo in vista della delicata fase di elezione del Presidente della Repubblica, aveva già confezionato il ministro-simbolo antimafia per rispedirlo, prima della scadenza della garanzia, nella sua regione.
Sapeva di trovare terreno fertile, il Matteino. Oliverio, infatti, non avrebbe saputo dire di no al diktat del Nazareno, e si era impegnato a dire pure che la Lanzetta era stato lui a volerla fortemente nella giunta regionale.
E l’ex Ministro che fa? Nei giorni che precedono le dimissioni mantiene un basso profilo, e una certa prudenza. Parla con Renzi, parla con Delrio e poi si dimette ieri, affidando a una stringata nota l’accettazione della proposta di Oliverio.
Come nel finale di un romanzo rosa “Harmony”, dunque, tutto procede secondo i piani, coi protagonisti dell’operazione che “vissero felici e contenti”.
A onor del vero, qualche mal di pancia c’era stato in Calabria. Qualcuno, già lunedì aveva contestato il fatto che tra i quattro assessori scelti da Oliverio c’era anche uno il cui nome – sia ben chiaro, non da indagato – era finito nelle carte dell’operazione “Il Padrino”, contro la cosca di ‘ndrangheta dei Tegano di Archi, feudo elettorale di De Gaetano e teatro dei tanti voti disgiunti “De Gaetano-Scopelliti” alle elezioni regionali del 2010.
Ma in Calabria – si sa – c’è sempre qualcuno che si lamenta. E che va zittito subito, quando non proprio ghettizzato.
E così, ieri all’ora di cena, giunge anche alla nostra redazione una nota congiunta dei cinque segretari provinciali del Pd calabrese (tre dei quali, Romeo, Mirabello e Bruno, sono incompatibili con la propria carica secondo una precisa norma dello Statuto nazionale del partito) in cui si dice che «Con Renzi, Magorno e Oliverio il Partito Democratico è unito per la nuova Calabria» e che «L’unità del Partito Democratico tanto temuta e osteggiata, come emerge da diversi commenti e tendenziose ricostruzioni, è un dato politico al quale i nostri interlocutori dovranno rassegnarsi. Continueremo il lavoro unitario in stretto raccordo con la segreteria nazionale, assieme al segretario regionale e al Presidente Oliverio nell’ottica del confronto e della condivisione. I rilievi di natura morale che non trovano riscontro nella realtà e le polemiche preventive devono lasciare spazio all’interesse della Calabria. Riteniamo che la Giunta vada giudicata e misurata rispetto alla qualità dell’azione governativa, alla capacità di risolvere i problemi e all’ambizione di costruire e realizzare quella svolta tanto attesa dai calabresi».
Quanto basta, insomma, a zittire i criticoni, quelli che mandano note stampa ai giornali e quelli che si sfogano sui social network, perché a novembre votarono per cambiare e ora si ritrovano le stesse facce sulle quali pendono, se non inchieste giudiziarie, quantomeno dei forti dubbi raffigurabili come “opportunità politica”.
Ma torniamo al «lavoro unitario in stretto raccordo con la segreteria nazionale» citato nella nota dei cinque segretari provinciali (tre incompatibili e due no) inviata ieri sera.
L’impressione è che, complice il maltempo che sta imperversando sulla nostra penisola in questi giorni, nella serata di ieri lo “stretto raccordo” abbia subìto un black-out durato qualche ora.
Già, perché mentre in Calabria i dissidenti venivano zittiti sbandierando la ritrovata unità del partito, tra Largo del Nazareno e Palazzo Chigi qualcuno si poneva degli interrogativi.
E quel qualcuno non era un semplice utente da social network ma il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Del Rio che, in sostanza, dice che forse non è il caso di affidare deleghe pesanti come quelle a Lavori Pubblici, Infrastrutture e Trasporti a uno come De Gaetano che se non è indagato per voto di scambio comunque è al centro di vicende «non sufficientemente chiarite».
Proprio così, i tanti vituperati «rilievi di natura morale che non trovano riscontro nella realtà» vengono mossi da un importante uomo di Governo.
Insomma, si chiederà Del Rio, cosa abbiamo messo a fare un magistrato famoso in tutto il mondo per il suo impegno contro la ‘ndrangheta come Nicola Gratteri nella commissione sulle nuove norme antimafia se poi si affida un incarico tanto importante a un assessore chiacchierato? In una regione che gestisce tanti soldi dei fondi di coesione, il Governo preferirebbe la certezza di profili sembra ombre di dubbi.
Dunque, anche a Palazzo Chigi sarebbero stati tutti colti dal furore giustizialista contro il povero De Gaetano che abbonda in alcune frange della popolazione calabrese che aveva davvero creduto di cambiare verso?
Non possiamo dirlo. Di sicuro, è bastato a fare cambiare idea alla Lanzetta, che dopo meno di 24 ore, ha virato di 360°. Si dimette da Ministro sì. Ma non condividerà lo stesso tavolo di palazzo Alemanni con un assessore del quale, forse, non si fida al 100%.
Un sussulto di dignità che ora fa uscire a testa alta la farmacista di Mammola trapiantata a Monasterace, paese nel quale probabilmente tornerà dopo una breve esperienza capitolina, vissuta alla guida del dicastero degli Affari Regionali.
Se dovesse tornare a casa, troverà di sicuro l’affetto di tanta gente comune e del circolo cittadino del Pd, sempre pronto a diramare note stampa di plauso nei suoi confronti: quanto era stata nominata ministro, quando è stata scelta nella nuova giunta regionale e forse è già alle viste un’altra in cui si esprimerà apprezzamento per la scelta di non accettare l’incarico di assessore nell’esecutivo guidato da Mario Oliverio.
Chi non esce a testa alta, invece, è la classe politica calabrese, quella che sta ai vertici e quella dei tanti aspiranti portaborse, dei nani e delle ballerine, e dei nipotini dei “Cipputi” di Altan e del personaggio interpretato da Maurizio Ferrini in “Quelli della notte”, ovvero il militante che di fronte agli ordini che arrivavano dall’allora Pci in periferia, per il tramite della “cinghia di trasmissione” delle federazioni, continuava imperterrito ad arrostire salsicce alla festa dell’Unità e di fronte a chi gli faceva presenti le proprie perplessità ripeteva meccanicamente «Non capisco ma mi adeguo».
Questa classe politica calabrese, massicciamente rappresentata nel Pd dell’antica Enotria, esprime appieno il livello di una regione «Che schiava di Roma Iddio la creò».