di Natale Amato ( Dirigente Federazione Internazionale Mediterraneo & Ambiente)
SIDERNO – La frenesia della vita quotidiana che invano tenterebbe di sopraffare, quasi a voler esorcizzare, il lento stillicidio del tempo, rende l’uomo contemporaneo riluttante ad ogni tipo di scoperta, anche per quelle che trova a due passi da casa. Esempio calzante, è ciò che l’ automobilista trascura nel percorrere distrattamente la parte alta della vallata del Torbido, segnata dal lungo serpentone di cemento e asfalto della Strada Grande Comunicazione Jonio-Tirreno.
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Se però, questa la si riesce a varcare con lo sguardo di un bambino avido di scoperte, si coglierà una moltitudine di emergenze storico- naturalistiche, sapientemente celate da madre natura. Basta infatti uscire a Mammola, piccolo paese alle falde dello Aspromonte che incentra la sua economia sulle peculiarità agroalimentari, e prendere la strada sterrata che si diparte dallo svincolo, lato monte, e salendo, costeggia l’ abbacinante greto del Torbido. Giunti al primo affluente sulla sinistra idrografica del Torbido, il Vallone Macariace, si parcheggia l’auto.
Si è già nel cuore del geosito delle omonime Miniere , infatti si notano sul lato destro della Valle, in località Sardaro, i ruderi degli edifici dove si svolgevano le incombenze amministrative e le strutture murarie della teleferica utilizzata per il trasporto e lavorazione del materiale estratto. A fianco questi interessanti esempi di archeologia industriale, si scorgono dei pannelli esplicativi completamente slavati dalle intemperie, che mal hanno retto il peso dei loro scarsi 10 anni di vita, epoca in cui, vi fu un timido tentativo di valorizzazione e recupero dell’intera area mineraria da parte del Comune di Mammola utilizzando il P.I.S. Rete Ecologica pubblicato sul B.U.R. della Regione Calabria il 16 gennaio 2004 e promosso attraverso il POR Calabria- Fondi Strutturali 2000/2006.
La miniera di Macariace fu impiantata, su una formazione scistosa riferita al Paleozoico, dalla ditta“Rumianca” per estrarre, a cavallo tra gli anni “20 e “40, l’ arsenopirite. Il sito, allo stato delle esplorazioni attuali, presenta sul versante sinistro della Vallata tre “bocche” dislocate perpendicolarmente sulla stessadirettrice e quella superiore, che mal si scorge dalla strada, è quella principale, con una lunghezza di circa 90 metri. E’ pertanto evidente il notevole interesse geo – minerario e archeologico dell’ intera area, che andrebbe valorizzata e tutelata, soprattutto per preservare il delicato ecosistema che racchiude. Infatti durante le esplorazioni dei tunnel, i membri del Gruppo di Speleologia “CHIROPTERA” della Associazione Mediterraneo & Ambiente di Marina di Gioiosa Jonica http://www.medambiente.it/ hanno potuto notare la presenza dei tipici animali degli ambienti ipogei, come i Dolicopodi, insetti che sono un misto tra un ragno ed un grillo, che, come la mantide, hanno il sesso invertito, la femmina feconda il maschio e poi lo mangia.
Con molta discrezione, hanno poi scorto una colonia di pipistrelli in letargo, della specie Ferro di Cavallo minore (Rhinolophus hipposideros), constatando purtroppo, una rilevante diminuzione dei chirotteri rispetto alle prime esplorazioni avvenute nel 2 002. I pipistrelli si nutrono di centinaia d’ insetti durante la notte e lo fanno, sfruttando l’ecolocazione, ovvero si orientano nello spazio, elaborando il ritorno degli ultrasuoni (echi), emessi dalla “foglia” nasale o dalla bocca, che rimbalzano sugli ostacoli che incontrano nell’ambiente circostante. Potendoli quindi considerare dei veri e propri “spazzini” dell’aria, è facilmente intuibile la loro importanza per l’uomo, anche per quel che riguarda i raccolti, che, grazie alla presenza di questi sorprendenti insetticidi naturali, non verrebbero minacciati.
Riprendendo la strada sterrata sul Torbido, si continua a risalire fino a giungere, sulla sinistra idrografica, ad un bel caseggiato ottocentesco, palazzo Barillaro, che troneggia nella macchia mediterranea. Poco prima, si parcheggia l’auto, ed al visitatore si presentano due opzioni, la risalita del Sentiero dei Greci, o la visita, seguendo il piccolo corso d’acqua tributario del più grande Torbido, della cascata del Vallone Salino. Per entrambi, l’Amministrazione Comunale di Mammola, grazie al finanziamento del POR Calabria 2000-2006/ Sistemi Naturali, è intervenuta realizzando il recupero del percorso naturalistico “Vallone Salino-Sentiero dei Greci”. Detto Ente, provvede annualmente alla manutenzione del sentiero che inizia nei pressi del palazzo Barillaroe s’inerpica ripido e scosceso tra ulivi, querce e castagni e man mano che si sale lecci, pini e faggi.
Il sottobosco è caratterizzato da erica, agrifoglio e pungitopo e accompagna, superata una fresca sorgente ed alcuni ruderi di case coloniche, al passo Sella ( Seja, via più breve) da cui iniziano una serie di terrazze che preludono ai piani della Limina ed a monte Kellerana su cui è situato il santuario di San Nicodemo, protettore di Mammola. Attraverso questo sentiero i fedeli da Mammola raggiungono il santuario per le funzioni della novena che precede i festeggiamenti in onore del santo. Il nome del sentiero, deriva dall’ abitudine dei coloni di Locri Epizephiri di percorrerlo per raggiungere le antiche Medma (odierna Rosarno) e Hipponion (attuale Vibo Valentia), seguendo in gran parte, le direttrici del Torbido per la parte jonica e dello Sciarapotamo per quella Tirrenica.
Tornando alla seconda opportunità che viene data al visitatore, per raggiungere la cascata di Salino, bisogna risalire l’ omonimo Vallone per circa venticinque minuti, il cui percorso, ad un certo punto, sarà sbarrato dall’imponenza dello splendido salto d’acqua con i suoi cinquanta metri d’ altezza, la cui vista, appagherà anche l’escursionista più esigente.Per chi invece si volesse cimentare in escursioni più tecniche, vi è la possibilità di discendere, in puro stile torrentistico, l’intero Vallone Salino partendo a monte da una labile traccia che si diparte dai Piani di San Nicodemo. Il Torrentismo o canyoning , è quell’ attività ludico- sportiva, altamente specialistica, che consente, tramite l’utilizzo di tecniche speleo-alpinistico, la discesa a piedi di torrenti particolarmente incassati e con forti dislivelli, tali da richiedere l’utilizzo di corde semi-statiche.
Il Vallone Salino fu esplorato ed attrezzato per la prima volta nel giugno del 2003 dal sottoscritto a capo del gruppo di speleologia dell’ Associazione Mediterraneo & Ambiente. Esso consta di quattro cascate 8- 35-10-45 mt spalmate su di un percorso, lungo l’alveo, di 1500 mt di sviluppo e con un dislivello totale di 410 mt.
Il nome torrentistico, così come riportato sul catasto nazionale dei canyon dell’ A.I.C. (Associazione Italiana Canyoning) http://catastoforre.aic-canyoning.it/index/forra/reg/CALABRIA/pro/RC/cod/RC004 è Gran Burrone, un tolkeniano richiamo alla fiabesca amenità della Valle, che la rende unica nel suo genere. Ben lungi da ogni retorica, mi piace concludere questo breve excursus, rammentando a chi amministra il nostro difficile territorio, che la vera industria, produttiva di ogni tipo di benessere, è da ricercare nel patrimonio storico e naturalistico, condito delle tante tipicità enogastronomiche, di cui la Calabria è ricchissima, ma, paradossalmente e contestualmente, poverissima di lungimiranza ed apertura intellettuale, tale da farla mortalmente ristagnare nel limbo del pressapochismo e del bieco attendismo.
Si ringraziano per la preziosa collaborazione, l’amico naturalista Arturo Rocca, Walter Sgura per le foto del Sentiero dei Greci, il presidente della Federazione Internazionale Mediterraneo & Ambiente, Giuseppe Nunziato Belcastro, per le attrezzature fornite per le esplorazioni della Miniera e delle Cascate, lo speleologo e geologo Roberto De Marco e l’immancabile compagno di tante avventure, lo speleologo Enrico Reale.