di Redazione
Sono ore difficili e complicate quelle che stanno vivendo i dipendenti dell’Enas, l’ente di patronato di diretta emanazione dell’organizzazione sindacale della Ugl. Le vicende di Centrella, ex Segretario Generale, accusato di appropriazione indebita tanto da essere costretto alle dimissioni nell’aprile dello scorso anno, come un effetto domino si sono riverberate in modo nefasto su tutte le strutture operative dell’organizzazione. Il dopo Centrella, un diluvio. Nel senso che il sindacato non è riuscito a darsi una guida. Tutto ciò che Renata Polverini aveva costruito, in questo momento sembra naufragare in un mare di conflitti intestini, di virulente diffamazioni e di inestricabili, quanto mai complesse querelle giudiziarie. Mentre c’è una disputa aperta tre le due componenti “Ugl in azione” (filo Polverini) e “Ugl ripartire dal territorio” (compagine che ne rivendica un’alternativa nella guida), le strutture operative, Caf e Patronato, stanno entrando nel tunnel della paralisi.
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Già dallo scorso anno la cassa integrazione guadagni in deroga diviene il principale mezzo di sostentamento dei dipendenti dell’Enas, che nonostante tutto assicurano la loro attività al servizio non solo degli iscritti, ma dei cittadini che ne richiedono la prestazione e i servizi. Ma l’elezione di Paolo Capone alla guida della Confederazione ha indotto l’altra componente, che ne ha ravvisato vizi procedurali, a ricorrere al giudice ordinario, bloccando così i conti del sindacato e le fideiussioni bancarie che avrebbero garantito in attesa dei trasferimenti da parte del Ministero del Lavoro l’erogazione degli stipendi e degli emolumenti ai dipendenti.
Non stiamo qua a spiegare qual è la funzione del patronato, ma tutti sanno che questo Ente rende fruibile tutto ciò che il sindacato riesce a rivendicare nei tavoli negoziali con i privati e con lo Stato. Pensioni, invalidità, ammortizzatori sociali, tutti diritti che il patronato concretizza in benefici diretti non solo ai propri iscritti, ma a tutti coloro che ad esso si rivolgono. Ma quando questa lotta intestina si avvita in una spirale di intrighi e di reciproche denunce, ecco che i primi a pagare le conseguenze sono i lavoratori dello stesso sindacato, e cioè i dipendenti che assicurano ogni giorno la loro presenza nei posti di lavoro.
Chi vuole colpire il sindacato sa che deve colpire i suoi dipendenti, per fare in modo che ad essi non venga riconosciuto il diritto primario dello stipendio, e quindi della prima fonte di reddito, e dunque ciò significa decretare il collasso e la morte dell’organizzazione sindacale stessa. Chi invoca il commissariamento dell’Ente per salvare i dipendenti implicitamente apre la strada alla mobilità e quindi alla chiusura.
E quando un sindacato offre come rimedio questa opportunità, mistificandola, come unica possibilità di soluzione, sa perfettamente che imbocca un binario morto che è quello della chiusura dello stesso sindacato. Quello che invece i dipendenti vogliono è di assicurarsi un futuro sereno, che possa consentire di portare la loro esperienza e la propria conoscenza al servizio del cittadino e di consolidare quel patrimonio che in tanti anni si era difficilmente costruito.