di Simona Ansani
Il legame d’affetto che esiste fra il cane e il proprio compagno umano non può considerarsi futile, e la perdita del quattro zampe, «specie nel caso in cui il rapporto sia radicato da tempo», va a ledere la sfera emotivo-interiore del padrone. Ecco le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma ha condannato un veterinario al risarcimento del danno morale, oltreché di quello patrimoniale, per avere causato con una sua condotta negligente la morte di un cane. Secondo quanto emerso in sede di giudizio il cane sarebbe deceduto in seguito all’ingestione di un osso che avrebbe causato una occlusione dell’esofago con lacerazione dei tessuti e con un conseguente versamento di liquido.
{loadposition articolointerno, rounded}
Una circostanza, che avrebbe potuto essere accertata con l’ausilio di esami clinici di routine, se il veterinario non avesse sbagliato diagnosi e non fosse stato in grado di correggere l’errore. Dunque se il professionista avesse individuato il problema in modo tempestivo, probabilmente avrebbe potuto salvare l’animale. «Nel caso di un cane da compagnia – scrivono i giudici di secondo grado – è fin troppo noto come le abitudini dell’animale influiscano sulle abitudini del padrone e come il legame che si instaura sia di una intensità particolare, sicché affermare che la sua perdita sia `futile´ e non integri la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata, non sembra più rispondente ad una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori». Emerge quindi il riconoscimento del valore psico-affettivo della relazione uomo-animale.