di Gianluca Albanese
LOCRIDE – L’accoltellamento di una donna nigeriana ad opera di un suo connazionale in pieno centro, con contestuale ferimento di un carabiniere in borghese accorso ad aiutare la vittima; prima ancora le vivaci proteste dei migranti ospiti dei progetti Sprar di Gioiosa, Caulonia e Riace. E poi, il difficile rapporto tra immigrati e popolazione di Bivongi e il fallimento dell’esperienza locrese della Recosol. Tutti episodi tra loro non collegati, ma che evidenziano, probabilmente, un malcontento sempre più diffuso nel nostro comprensorio riguardo le politiche di accoglienza messe in atto da alcuni anni a questa parte. O meglio, del modo in cui vengono realizzate e delle loro ricadute negative.
{loadposition articolointerno, rounded}
Ogni episodio diventa l’occasione per contrapporre i nuovi guelfi e ghibellini; il punto è che si rischia di cadere in troppe generalizzazioni, di rimanere, insomma, vittime della faciloneria.
Sbaglia sicuramente Matteo Salvini a esprimere il proprio, strumentale, plauso ai cittadini di Focà che saldano il cancello della scuola inizialmente scelta dalla Prefettura (su indicazione della locale amministrazione comunale) per ospitare i profughi sbarcati a Caulonia la notte di Pasqua; sbaglia pure, però, chi addita come razzista il cittadino di Focà, o anche chi vuole vivere tranquillamente nel proprio paese e ha diritto di non rimanere vittima di una coltellata sferrata da un balordo in pieno centro e di prima mattina.
Perché un balordo è un balordo. Indipendentemente dalla religione che professa, dal colore della pelle e dalla sua nazionalità. E il vigente ordinamento giuridico punisce chi compie atti di violenza (specie se aggravata) ai danni del prossimo.
Ma non è l’arena mediatica o quella dei social network ad appassionarci.
Piuttosto, cogliamo segnali di crescente insofferenza di una parte della popolazione locale verso il modo con cui vengono gestite le politiche di accoglienza dei migranti, e di occasionale inefficienza del modo di gestire progetti e fondi destinati a tale – nelle intenzioni – nobile scopo.
Dell’insofferenza della gente sappiamo molto, e non è il caso di tornare sull’argomento, anche per non fare il gioco del Salvini di turno.
Dell’inefficienza della gestione dello Sprar in alcuni posti, invece, si sa poco, forse perché il cancello saldato della scuola di Focà fa più rumore e audience.
In realtà, cominciano a emergere le prime crepe nella gestione delle politiche di accoglienza.
I tempi della catena di solidarietà umana messa in atto da un giovane Mimmo Lucano dopo il primo sbarco di cittadini curdi nella spiaggia della sua Riace qualche lustro fa solo lontani.
Col passare degli anni, le collette, gli indumenti e le coperte, i pasti caldi offerti spontaneamente, così come l’uso gratuito di appartamenti sfitti perché di proprietà di persone emigrate lontano da qui, sono stati sostituiti dai bandi per aderire allo Sprar, da quelli per selezionare gli enti attuatori dei progetti (associazioni, cooperative ecc.) e dagli obblighi di rendicontazione delle spese sostenute, strettamente correlati all’impiego delle ingenti risorse ministeriali destinate allo Sprar.
Già, perché di soldi ne arrivano tanti per le politiche di accoglienza.
E questo sta rischiando di “burocratizzare” un’attività nobile e pregna di umanità come quella dell’aiuto verso chi fugge da situazioni di fame, carestia, guerra, persecuzione.
Non diciamolo ad alta voce, però. Perché quello che adesso sembra essere (nei casi di “deviazioni” del sistema) solo un veicolo di clientela di qualche amministratore presente e passato, che piazza parenti e amici tra gli operatori negli enti attuatori con la logica del manuale “Cencelli”, un domani nemmeno troppo lontano potrebbe fare gola anche alla ‘ndrangheta, che ha già da tempo conquistato mercati appetibili in attività socialmente molto utili e legate alla tutela dell’ambiente, come quelle, ad esempio, riguardanti lo smaltimento di rifiuti.
In Calabria abbiamo sbagliato troppe volte, trasformando attività nate da intenti nobili e solidali in carrozzoni trasformatisi in holding affaristiche, inquinate da quel familismo amorale che impedisce da troppo tempo uno sviluppo reale, autentico, duraturo della nostra terra.
La tematica legata all’accoglienza dei migranti c’interessa parecchio. Questa testata conta di approfondirla a 360° senza il paraocchi di chi comunque con i progetti di accoglienza ci campa, e senza l’odio verso il diverso che è tipico dei razzisti.
L’argomento, quindi, verrà affrontato molto spesso nei prossimi giorni, non solo con articoli giornalistici ma anche con iniziative pubbliche che abbiamo in animo di realizzare.
In questi giorni si sta costituendo il coordinamento degli enti locali e delle associazioni aderenti alla rete Sprar della Provincia di Reggio Calabria, frutto della volontà espressa dai partecipanti ad un incontro sul tema tenutosi a Laganadi lo scorso 13 marzo.
Si chiama “Agorà”, ed è davvero una denominazione azzeccata.
Perché temi così importanti vanno affrontati in piazza, pubblicamente, attraverso il confronto e lo scambio reciproco di opinioni ed esperienze, non tirando ognuno l’acqua al proprio mulino.
Ne fanno parte, tra gli altri, i Comuni locridei di Africo Nuovo, Benestare, Bivongi, Camini, Caulonia, Gioiosa Ionica e Stignano, e, tra gli enti attuatori, la cooperativa Pathos (gestita da Maria Paola Sorace, nipote dell’ex sindaco di Caulonia Ilario Ammendolia), il consorzio Goel, l’Arci di Stignano e la Rete dei Comuni Solidali, rappresentata in Calabria dal collega Giovanni Maiolo, già candidato sindaco alle elezioni del 2007 a Caulonia.
Il coordinamento nasce dall’esigenza di definire strumenti, misure e linee di indirizzo per promuovere una costruzione collettiva ed a più voci, che possa ricomprendere tutte le specificità e le sfumature delle varie problematiche in grado di garantire ai soggetti in condizioni di maggiore vulnerabilità un’accoglienza effettivamente capace di rispondere alla complessità dei bisogni di cui sono portatori.
In una parola “fare sistema” tra le varie esperienze presenti sul territorio.
Bene, se questo può servire a riportare le politiche dell’accoglienza al loro spirito originario, e ad allontanare il sentore – ahinoi sempre più diffuso – che vedrebbe esaurita la “spinta propulsiva” che portò alla creazione dei progetti Sprar, sotto una coltre fatta di burocrazia, incarichi, clientele e, soprattutto, tanti soldi.