di Bruno Grenci
CAULONIA – Il 26 aprile scorso un ragazzo nigeriano, Mamadou Aboubakar, ha ferito una sua connazionale e un carabiniere. Innanzitutto esprimo solidarietà al carabiniere Enzo Palumbo, conosciuto in paese, insieme alla sua famiglia, per serietà e compostezza. Conosco Gift, la ragazza nigeriana aggredita, sin dal settembre 2008, l’anno in cui è arrivata a Caulonia; la incontro spesso in giro e quando ne ha bisogno le do un passaggio in macchina nei suoi spostamenti.
{loadposition articolointerno, rounded}
Si dà il caso che ho avuto pure modo di conoscere Mamadou. L’ho visto lavorare come un mulo e l’ho visto scherzare con i suoi amici. Era sempre col sorriso sulla bocca e molto rispettoso con gli altri. Non so cosa possa essere accaduto e cosa si è acceso nella sua mente. Sono rattristato per lui e mi piange il cuore per l’accaduto. Concordo con le cose dette dalla dottoressa D’Aquino, che ritengo persona preparata e competente, e aggiungo che sarebbe un gravissimo errore se ora costruissimo addosso a Mamadou il marchio del mostro o del criminale. Non faremmo altro che aggiungere benzina al fuoco e creare altri anelli a una pericolosa catena che potrebbe sfociare in episodi ancora più pericolosi. Dico ciò perché ho subìto torti simili e mi sono trovato in situazioni simili con soggetti disadattati extra comunitari, quindi parlo con cognizione di causa.
Anzi aggiungo, forse prendendomi qualche impropero o biasimo, che se fossi Enzo Palumbo, il Sindaco di Caulonia, il responsabile del progetto per i rifugiati di Caulonia andrei a trovare Mamadou, gli darei un buffetto ma gli regalerei un sorriso e una stretta di mano. Spero di poterlo fare io appena ne avrò la possibilità.
Tuttavia rispetto a quanto afferma D’Aquino mi piacerebbe puntualizzare un paio di cose.
1.Nell’immaginario collettivo è passato il messaggio che attorno alla gestione dei rifugiati girano molti soldi. E questo è vero, oltre che nell’immaginario, anche nella realtà. Il business c’è e come. E si sa che dove ci sono soldi pubblici, molti milioni, si creano appetiti più o meno competitivi, (uso un eufemismo). Appetiti e competizioni, anche sleali o clientelari, utilizzando potentati politici e altri mezzi simili, platealmente confermati da fatti di cronaca nazionale recenti e meno recenti. Da Mafia capitale alla gestione del centro di Mineo in Sicilia, alla gestione dei CIE, (centri di identificazione ed espulsione). Non sto dicendo che Caulonia sia afflitta da ciò, e tanto meno che ne sia immune. Ciascuno ne tragga le sue conclusioni. Dico però che non vi è stata una gestione democratica e inclusiva dei progetti. Ecco perché la gente non capisce e ha anche reazioni come quella che si è avuta a Focà. Ho detto nel consiglio comunale del 21 aprile scorso che il sindaco di Riace, la figlia dell’allora presidente della regione, il più politicizzato e ideologizzato operatore del “progetto”, altri soggetti e personalità, nel 2008 erano fortemente contrari all’impostazione che fu data sin da allora all’accoglienza “modello Caulonia”. Lo stesso sindaco Riccio ha confermato che era in disaccordo. Quindi innegabilmente vi fu un vizio genetico dell’esperienza cauloniese; e ritengo stia in quell’errore originario, in quell’impostazione travagliata e non condivisa avviata nel 2008, la catena di inadeguatezze che oggi vengono al pettine.
Quindi: a) c’è il business di un unico ente che detiene il monopolio;
b) non c’è assimilazione con l’esperienza di Riace, dove vi è invece una pluralità di enti tutti del luogo; creati in simbiosi certosina tra comunità e amministrazione, a gestire il progetto.
C) tre indizi fanno una prova si dice in gergo. Ovvero: la protesta in strada dei rifugiati; l’episodio di Focà; la vicenda di Mamadou, denotano che siamo in presenza della crisi di un’impostazione e di un percorso tracciato da lontano.
2.Si vuole far passare Mamadou per malato di mente. Ritengo che fino a quando non ci saranno perizie o dati certi non si possa affermare ciò. Piuttosto penso che mancano a Caulonia centri di identificazione e di socializzazione come invece ci sono a Riace. Senza scomodare la psicoanalisi o la psicologia sociale, l’identificazione sta all’identità come il letto del fiume sta all’acqua che vi scorre dentro. I luoghi di consulenza, di assistenza e supporto anche psicologico, dell’identificazione non ci sono. Palazzo Pinnarò a Riace invece rappresenta per questi soggetti, anche dopo che escono dal periodo dei benefici diretti, quello che le nostre istituzioni “super-egoiche” rappresentano per i nostri ragazzi italiani: la famiglia, la scuola, la chiesa, l’oratorio, il mister della squadra di calcio, ecc. Luoghi un cui questi soggetti anche dopo la cessazione dei benefici, anzi soprattutto dopo l’uscita dai benefici, possano rivolgersi per un conforto, per un contatto sociale, per attutire un disagio. Checchè se ne dica il paragone tra Riace e Caulonia non si può affatto fare. E neppure si può scaricare, sulla “ottusità della società calabrese”, il fatto che si pongono dubbi e interrogativi sulla conduzione e sullo svolgimento di dinamiche che vedono l’impiego di milioni di fondi pubblici, e che coinvolgono, nel bene e nel male, tutti i cittadini.
Ma la conferma che le cose non vadano bene e che occorra una riflessione lo certificano oltre alle vicende di Focà, all’episodio triste di domenica scorsa, alla protesta inscenata dai rifugiati qualche settimana fa a Caulonia marina, (e che qualcuno ha definito ingrati), il documento approvato in consiglio comunale la sera del 21 aprile che, oltre alla retorica e alla banalità, parla di “rilancio” del progetto. Come pure vedo che la dottoressa Federica Roccisano pone dubbi e interrogativi sull’andazzo. Per non dire della presa di posizione autorevole dell’ex sindaco Frammartino; delle evidenziazioni del gruppo di minoranza in Consiglio Comunale; e, last but not least, di numerose opinioni di cittadini sui social-media, di cui D’Aquino parla.
Allora nell’attesa che il “rilancio” auspicato prenda il via, e in attesa del lavoro della commissione insediata in seno al Consiglio Comunale di Caulonia, pongo alcuni interrogativi.
1.Quanti milioni di euro sono giunti a Caulonia per la cosiddetta accoglienza dal 2008 ad oggi?
2.Quante consulenze di psicologi, sociologi, pedagoghi (competenti ed esperti, non chiacchiere) sono state rendicontate e quante realmente svolte?
3. Quanti e quali scambi sono stati avviati e condotti con realtà del settore, serie e pulite, più avanzate e sviluppate?
4.Dov’è a Caulonia un centro di socializzazione, identificazione e conforto per soggetti deboli e vulnerabili quali sono i rifugiati politici?
5.Quanti volontari e soggetti della “società civile” sono stati coinvolti per progetti di inserimento-integrazione reale, sistematica e continuativa dei rifugiati: imprenditori, docenti in pensione, associazioni religiose, associazioni culturali, ecc. ?
6.Sono state individuate figure carismatiche e super-egoiche, anche religiose, nell’ambito dei rifugiati e/o dei soggetti vulnerabili, che potessero intervenire in situazioni critiche?
7.C’erano, e se non c’erano si potevano creare, a Caulonia le competenze e le figure professionali per la gestione diretta e plurale dei cosiddetti progetti dell’accoglienza evitando i soggetti esterni?
8.Si ha una sorta di censimento o monitoraggio, o anche una lontana idea, circa la destinazione dei soggetti che sono passati per il “progetto” cauloniese?