di Gianluca Albanese (foto Gazzetta del Sud)
SIDERNO – Un circolo vizioso. Anzi, un perverso vortice, quello dell’usura in cui le vittime, spesso, diventano a loro volta, usurai, e in cui chi entra non riesce a uscire, se non denunciando. E proprio dalle denunce di alcune vittime dell’usura che si sono ottenuti quei riscontri, incrociati con le intercettazioni telefoniche ed ambientali, e corroborati dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano, che si è giunti alle misure restrittive di diciotto soggetti (12 in carcere e 6 ai domiciliari) messe in atto ieri nell’ambito dell’operazione denominata “Bacinella 2“, condotta dalla Dda di Reggio Calabria, e realizzata dalla Guardia di Finanza del Gruppo di Locri.
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Un’economia sommersa, fatta di esercizio abusivo del credito, di assegni post datati, e di operazioni che dietro la parvenza di regolari fatturazioni, nascondevano un’attività assai redditizia della ‘ndrina Figliomeni-Rumbo-Galea, che nel corso dei lustri passati, si è evoluta dallo stato di “ala militare” del clan Commisso a vera e propria holding di affari illeciti, in cui la consorteria criminale metteva a disposizione ingenti somme di denaro contante la cui gestione era affidata al titolare di un distributore di benzina, ovvero Domenico Infusini, che faceva il “lavoro sporco” in nome e per conto del clan.
Questo gioco perverso, veniva favorito dalla complicità dei fiancheggiatori finiti agli arresti domiciliari, e alla connivenza di molte vittime che durante gli interrogatori resi alla Polizia Giudiziaria, hanno reso dichiarazioni considerate mendaci e omertose.
Chi, invece, ha avuto il coraggio di denunciare, ha trovato il modo di uscire, come era già accaduto negli anni passati a Locri, nell’ambito dell’inchiesta denominata “Shark”.
Minacce, pestaggi da parte dei “cravattari”, paura costante e assoluto e continuo bisogno di soldi da parte delle vittime costituiscono un quadro accusatorio di assoluto squallore, fatto di prestanome e “imprenditori” improvvisati a capo di attività “farlocche” che servivano, secondo l’intento di chi le metteva in atto, solo da copertura.
Non è questa l’economia fiorente che ha fatto la fortuna, nel secolo scorso, di un centro come Siderno, cresciuto grazie al fiuto e all’operosità di imprenditori amalfitani sbarcati nel primo ‘900 e appreso dai sidernesi più intraprendenti.
No, era solo ricerca dell’arricchimento facile sulle spalle di chi versava in stato di assoluta necessità o, peggio, in alcuni casi, il desiderio di tenere un tenore di vita superiore alle proprie possibilità, e come ripete spesso il procuratore aggiunto della Dda, Nicola Gratteri «E’ meglio fallire che finire nelle mani degli usurai», specie di quelli che si avvalgono della forza intimidatrice che deriva dall’appartenenza al vincolo associativo che è proprio dell’associazione a delinquere di stampo mafioso.
E’ bene che se lo mettano in testa quei cittadini comuni, che negli anni scorsi hanno addebitato alle conseguenze delle operazioni della Dda come “Crimine” e “Recupero-Bene Comune”, il declino economico di Siderno.
Ovviamente, nei prossimi mesi verrà celebrato il processo che chiarirà le singole posizioni degli imputati e dirà, effettivamente, chi sono i colpevoli e chi saranno gli eventuali innocenti da assolvere.
Ma pensare che l’usura praticata dalla più feroce associazione a delinquere operante in Italia (e non solo) sia un male assoluto da evitare non è aprioristica negazione dei principi garantisti su cui si fonda l’ordinamento giuridico vigente: no, è solo una questione di buonsenso, perché dietro ogni singola vicenda, c’è sofferenza di vittime e aguzzini e delle loro famiglie, in alcuni casi rovinate da quanto messo in opera, e perché tutto questo non accada più non si può solo invocare la straordinaria capacità investigativa di magistrati e forze dell’ordine, ma la piena consapevolezza dei cittadini comuni che sono obbligati compiere una chiara scelta di campo a favore della legalità, per prevenire il ripetersi, negli anni futuri, di certi fenomeni.
Per il bene di chi oggi è adulto, ma soprattutto dei propri figli.