di Isidoro Napoli*
Sia chiaro, non ho nessun titolo specifico per intervenire su questa ennesima polemica tra Giovanni Calabrese, Sindaco di Locri e Giorgio Imperitura Sindaco di Martone e Presidente dell’Assemblea dei Sindaci della Locride. Credo che vi sia in questa querelle qualcosa di stantio che non ha soluzione e non diverte più. C’entrano poco o nulla, a mio parere, le questioni di merito che, di volta in volta, vedono protagonisti i due Amici Sindaci. Entrambe, a mio modesto avviso, sfuggono al cuore del problema. Che cosa è l’AssoComuni della Locride?
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Da due anni mi capita di frequentarla e devo sinceramente confessare che ho avuto l’impressione di frequentare un club dove chi vi partecipa lo fa in assenza di un chiaro e definito ruolo. Sono nati da questa entità due partecipate, Locride Ambiente e Locride Sviluppo, le quali se non hanno tradito le aspettative, le hanno quanto meno disattese. Sono rimasti due carrozzoni, si sarebbe detto un tempo, due carrozzoni clientelari e soprattutto autoreferenziali che non danno conto a nessuno del loro (sic!) operato.
Un accenno alla gestione dell’esistente e la ricorsa col fiato corto della emergenza del momento. Grandi proclami. Documenti in cui si minacciano sfraceli. Invettive che hanno come obiettivo il nulladel nulla.
Nessuna veste istituzionale. Nessuno che abbia ceduto in toto od in parte la propria sovranità. Le sue deliberazioni non impegnano nessuno.
Questa a me pare essere la realtà associativa degli Enti Locali della Locride.
E’ questo quello che serve al nostro comprensorio per affrontare al meglio le sue problematiche?
E‘ questo quello che serve all’ultimo comprensorio della Calabria che è l’ultima Regione d’Italia e stando al rapporto SVIMEZ , l’ultima d’Europa?
Con questo tipo di organizzazione istituzionale si vogliono affrontare gli improbabili interlocutori, a cominciare dal Governo Regionale, per passare al cieco Governo Nazionale, il cui improbabile Presidente non ci fila neanche per uno dei suoi tanti spot pubblicitari ?
Ed è con questo assetto istituzionale che intendiamo affrontare l’evento che prima o poi ci pioverà addosso, della cosiddetta Città Metropolitana?
Quantomeno meritiamo di essere accusati di dabbenaggine.
Ora è pur vero che l’assetto istituzionale non rappresenta la soluzione del problema.
Ma sarà pur vero che lo schieramento delle forze nel terreno per una battaglia è considerato importante anche dal più modesto comandante di truppe.
Nel novero delle decennali debolezze che sconta il nostro territorio, la Sanità, i Rifiuti, l’Acqua ( a proposito qualcuno sa dire cosa pensa di fare la Giunta Oliverio con SORICAL?), le risorse energetiche, i Trasporti, non abbiamo voce in capitolo.
Le scelte vengono assunte altrove. A volte anche l’umiliazione di dover sottostare alle direttive di qualche funzionario prepotente.
Eppure qualcosa si può fare.
Tutti i Comuni sono impegnati nella stesura dei Piani Strutturali che sono un tentativo di dare una configurazione al Territorio, un assetto, un disegno, un’organizzazione dei diversi elementi che lo compongono, rispondente ad una razionalità.
Partendo dal presupposto che la Città ed il Territorio sono non un mucchio di edifici ma la stessa Casa dei Cittadini. Sono un “bene comune”.
Tenendo a mente che non tutti gli interessi che agiscono nella Città sono ugualmente garantiti e rappresentati.
Una volta erano i Partiti Politici a rappresentare gli interessi generali. Era la Politica, con il conflitto degli interessi rappresentati a configurarsi come il luogo dove risolvere gli stessi conflitti.
Oggi ciò che rimane dei partiti, è appiattito sul breve periodo; domina la preoccupazione della prossima tornata elettorale. Un pezzo di autostrada paga di più di un buon Piano Strutturale.
Credo che serva rimettere al centro gli interessi generali dei Cittadini e quelli delle future generazioni, che ancora non votano e quindi non hanno alcun tipo di rappresentanza.
L’idea alla quale penso è quella di un ceto politico che guarda al comprensorio nel suo insieme. Una visione olistica. In cui il benessere complessivo è dato dal benessere dell’insieme delle sue parti e non di una sola di esse.
Se si riuscisse ad avere una visione comune della Pianificazione territoriale che veda nelle trasformazioni che ci si accinge ad apportare, la salvaguardia degli interessi generali rispetto alla predominanza di una delle sue componenti, generalmente la più prepotente.
Un nuovo approccio alle trasformazioni che siano trasformazioni “sostenibili”, che sottragga l’ambiente al saccheggio prodotto dal libero gioco delle leggi di mercato.
Che opponga alla logica quantitativa, la logica qualitativa del mondo nel quale le Persone debbono vivere.
I Cittadini di Siderno, per esempio, potrebbero domandarsi se il loro bel lungomare lo ha demolito il Padreterno oppure se c’entra qualcosa il dissennato prelievo di milioni di metri cubi di sabbia dal torrente Novito. E se la costruzione della diga, del porto e di questa discutibile variante della 106, abbiano qualche responsabilità nel disastro.
Per affrontare queste sfide la condizione dei Comuni così com’è risulta ampiamente inadeguata. Non è più sufficiente il prestigio del singolo Sindaco o il blasone del Comune.
Serve aggregare le forze. Serve fare aderire l’assetto istituzionale alla realtà economico sociale sottostante. Serve seguire l’indirizzo esattamente contrario a quello che ha seguito il Governo ed il Parlamento Nazionale nel dare alla luce la legge sul riordino delle Autonomie Locali.
Per chi ha avuto tempo e pazienza di andarsi a vedere come è nata la Città Metropolitana di Reggio Calabria, ciò che vado dicendo non risulterà una novità.
La Storia della Calabria si intreccia, invece in maniera robusta con la Storia delle sue fiumare che da monte vorticosamente ed a volte rovinosamente raggiungono il mare. Attorno a questi tumultuosi corsi d’acqua si sono stratificate, lasciando segni tangibili a volte di incommensurabile bellezza, le presenze delle popolazioni nel corso dei secoli. Ed è attorno alla salvaguardia ed alla difesa di questi territori dalle calamità naturali, ma più frequentemente dalla scellerata azione umana che va impostato il tentativo nostro di dare una speranza e forse un futuro ai nostri figli.
Quella che noi chiamiamo Locride è una realtà territoriale composta da almeno quattro di queste Vallate. Riconoscerne una connotazione unitaria significa tentare di sfruttare al massimo le scarse risorse materiali ed umane residuate dagli attacchi sempre più pesanti che arrivano da parte di quelle forze politiche, economiche e sociali dominanti, che da decenni minano nelle fondamenta la stessa tenuta civile delle nostre Comunità.
Quando ci va bene, dimenticandosi di noi, quando ci va male usandoci o come carne da macello o come discarica delle loro turpi produzione.
In combutta con gli ascari e con la feccia della nostra società.
*: Assessore all’Unione dei Comuni della Valle del Torbido