di Antonio Baldari
LOCRI – Se fosse un canto liturgico non avremmo dubbio alcuno: sarebbe senz’altro “Il Cantico delle Creature” di francescana memoria, giacché riconducibile a quel Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, che otto secoli orsono, come oggi del resto, decantava le bellezze del Creato con lodi e benedizioni a Dio per una simil opera compiuta, dal sole alla luna; dal fuoco all’acqua; dagli uccelli del cielo alle piante ed agli esseri umani tutti. Ma proprio tutti, per questo facendo chiaro riferimento oggi al Francesco de “noantri”, il vescovo della diocesi di Locri-Gerace, da poco più di un anno ordinato vescovo nella co-cattedrale di Gerace ed al contempo destinato pastore delle anime locresi, evento mai accaduto prima a queste latitudini.
Che sta segnando il corso della storia diocesana per tutta una serie di azioni liturgico-pastorali in gran parte condivisibili soprattutto perché ragionate e non già imposte ai fedeli, che gradiscono molto sentendo la vicinanza umana e spirituale della propria guida che, sabato scorso 29 agosto, ha impresso una vera e propria accelerata al proprio episcopato partecipando allo storico incontro con i “fratelli” cristiano-ortodossi e cristiano-evangelici, nel santuario diocesano di san Giovanni Therystis di Stilo: un momento di grande intensità emotiva proprio per la sua unicità che ha per certi versi richiamato un altro meeting consegnato alla storia religiosa del mondo moderno, segnatamente quello tra l’allora vescovo locrideo, monsignor Giancarlo Maria Bregantini, ed il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, in ossequio al ritrovato dialogo tra le Chiese “sorelle” all’epoca ispirato da quel gigante della Chiesa, e non solo, che fu e sarà sempre Giovanni Paolo II.
Quel dialogo che oggi continua grazie all’opera vivificante di un altro Francesco, il primo “vescovo vestito di bianco” a sedere in Vaticano che ha deciso di utilizzare questo nome, venuto dalla fine del mondo e dunque dalla cattolicissima terra d’Argentina, che ogni giorno che passa non perde l’occasione di aprire, includere ed accogliere tutti coloro che sono lontani con la mente, il cuore ed anche geograficamente a cominciare dai migranti, sempre e comunque al centro dei suoi pensieri e delle sue riflessioni più appassionate, e finendo proprio con coloro i quali ci sono stati quasi mille anni di incomprensioni, lotte e divisioni, quei fratelli cristiani, per l’appunto, che oggi però si vuole riabbracciare tanto più che, giusto per fare il più calzante degli esempi, il cardinale Bergoglio sta da tempo lavorando perché ci sia la celebrazione di un’unica solennità che sia la Santa Pasqua e non, come oggi, più domeniche di Pasqua nel mondo cristiano. Se Cristo è risorto per tutti ciò non lo si può che festeggiare tutti, insieme.
Monsignor Oliva è in perfetta sintonia con tale messaggio continuando a gettare quei semi di speranza nel disastrato comprensorio della Locride, che può contare ancora una volta e di più sulla stella polare della Chiesa che però avrà il volto di Cristo più completo, e non già monco dei pezzi mancanti e lacerati dei restanti fratelli cristiani, per potere rinascere nella sua diversità perché, come lo stesso vescovo Oliva ha sottolineato proprio a Stilo, “la bellezza del Creato sta anche e soprattutto nelle sue differenze”.