di M.Alessandra Polimeno*
REGGIO CALABRIA- Esprimo tutta la mia soddisfazione (anche perché ero un po’ “tifosa”) per l’esito del concorso di idee finalizzato ad individuare due personalità cui intitolare il Palazzo Storico della Provincia di Reggio Calabria e il Palazzo della Cultura della Provincia di Reggio Calabria.
Difatti, il primo porterà il nome di Corrado Alvaro ed il secondo quello di Pasquino Crupi.
Una scelta che equivale ad una sorta di percorso tra chi la nostra cultura l’ha elevata al massimo e chi l’ha studiata, raccontata e fatta storia.
Una letteratura, la nostra, che Crupi ci ha insegnato a non sottovalutare e a non considerare fuori moda. Lo dimostrano i vari Gangemi, Abate, Criaco e tutti quelli che, in un certo senso, sono i figli di Alvaro, Strati, Montalto, Seminara, Repaci, La Cava, Perri, Asprea ecc..
Tra l’Ottocento ed il Novecento, difatti, nasce in Calabria una vera e propria produzione letteraria di opposizione, anche perché esistevano gruppi intellettuali e una borghesia illuminata che avevano sentore “della delusione storica del post-risorgimento” e sapevano che la questione sociale che si stava definendo era Questione Meridionale. Non si guardava più, quindi, al Regno di Napoli ma, come ha evidenziato Antonio Piromalli, “dopo l’Unità d’Italia la letteratura della società colta calabrese cerca di modellarsi su quella della nazione, di acquistare una identità in un quadro nazionale. L’operazione è lentissima e non agevole, perché quando lo scrittore vive in Calabria non può che raggiungere un pubblico regionale che è quello dei letterati di formazione umanistica pur cercando di rivolgersi ai lettori fittizi del nuovo regno”.
Dalla Calabria, quindi, si guardava all’Italia e al mondo e si provava a raccontare a tutti la propria condizione di vita, di oppositori o vittime dei poteri dominanti. La letteratura era lo strumento per uscire dall’emarginazione. Non per niente Corrado Alvaro cresce formandosi, inizialmente, nella casa paterna, laddove il padre soleva leggere al figlio i grandi narratori della letteratura italiana e straniera.
Ecco perché i nostri scrittori guardano “all’uomo” con originalità e rigore.
Qualche mese fa c’è stato un convegno, a Bianco, dove venivano accomunate le figure di Strati, Avaro, La Cava e Perri. Sicuramente una loro peculiarità è stata quella, come ha intuito Giuseppe Isnardi, di essere “più vicini che altrove al cuore profondo degli uomini”. Non trovandomi in Calabria, non ero presente a Bianco e non posso dire se, dall’incontro, sia venuto fuori l’humus che accomuna queste grandi figure. Ma ogni iniziativa è sempre meglio del nulla assordante.
Ricordo, difatti, il silenzio che ha quasi cancellato Saverio Strati dalla nostra storia culturale, e la lettera/appello che lo scrittore inviò al Quotidiano della Calabria. Poco tempo dopo, il 24 marzo 2009, a Casignana, primo paese a convocare un Consiglio Comunale aperto a favore di Strati, Crupi affermò che, oltre all’applicazione della Legge Bacchelli, era auspicabile “una ristampa completa delle opere dello scrittore, per iniziare un percorso concreto in difesa della cultura calabrese”.
Ecco, secondo me è bello e importante dedicare strade e monumenti ai nostri scrittori, ma impareremo ad apprezzarli e ad amarli veramente solo quando, magari insieme ai nostri giovani (alla maniera del padre di Alvaro), inizieremo anche a leggerli e studiarli.
*Consigliere Provinciale
e Consigliere “Fondazione Corrado Alvaro”