di Gianluca Albanese
MARINA DI GIOIOSA – La gradinata esposta a vento, pioggia, sole cocente d’estate e freddo pungente d’inverno; lo Jonio a Est che non fa mai mancare la propria brezza, salutare o micidiale secondo le stagioni; la vecchia statale 106 a Ovest, affiancata dalla ferrovia monobinario in cui i fischi dei (pochi) treni in transito a volte venivano confusi con quelli dell’arbitro. Dall’altro lato, i tre gradini riservati alla tifoseria ospite o, più semplicemente, a chi vuole vedere le partite con calma e in solitudine.
Potrà sembrare una cartolina un po’ troppo romantica, la nostra. Ma non ci voleva grande acume per capire che il campo sportivo di Marina di Gioiosa, col suo terreno di giuoco polveroso e così esposto agli agenti atmosferici fosse uno stadio da “duri”. Nell’accezione buona del termine, quella della carica agonistica che colmava il divario tecnico che spesso separava dagli avversari una squadra costruita con pochissimi soldi e che aveva il valore aggiunto nell’attaccamento alla maglia dei suoi giocatori.
Ne abbiamo viste di partite nei lustri precedenti, quando muovevamo i primi passi come radiocronista prima, e corrispondente sportivo poi. Partite in cui il fattore campo si poteva fare valere con cuore, fiato, muscoli e polmoni. Nient’altro.
E gli avversari blasonati spesso tornavano a casa a mani vuote.
Quanti calciatori che hanno sudato la maglia fino in fondo e quanti fior di allenatori che sono passati, a memoria nostra.
Da Rocco Logozzo a Tonino Figliomeni, passando per Cosimo Silvano (il più longevo come permanenza nella panchina giallorossa) e i giovani emergenti come Gigi Caridi e Mimmo Quattrone.
Ora tutto questo non c’è più. Almeno per quest’anno.
L’interdittiva antimafia giunta dalla Prefettura, che ha impedito la concessione del campo sportivo all’Asd Marina di Gioiosa da parte del Comune è un atto che, come ha ragionevolmente spiegato l’amministrazione comunale, non poteva essere disatteso o disapplicato.
Nuovi strumenti repressivi vengono usati contro chi è accusato, a vario titolo, di contiguità ad ambienti condizionati, o condizionabili, dalla criminalità organizzata.
La commissione d’accesso prima e lo scioglimento del consiglio comunale poi, come è toccato a Marina di Gioiosa e a tanti centri viciniori; ora arriva l’interdittiva all’uso dello stadio comunale, come è successo solo qui, almeno a memoria nostra.
Sia ben chiaro, che nel recente passato la ‘ndrangheta abbia cercato di guadagnare consenso tra la gente investendo nel calcio dilettantistico, questo è cosa nota.
Il prestigioso collega di “Repubblica” Attilio Bolzoni lo scoprì esattamente dieci anni fa intervistando don Pino De Masi, nell’articolo che riproponiamo alla vostra lettura.
http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/cronaca/fortu/bolzoni/bolzoni.html?refresh_ce
Restano, però, due interrogativi: come mai un provvedimento così duro è stato preso solo qui a Marina di Gioiosa e in un periodo storico in cui i principali boss locali e i loro picciotti sono stati colpiti da condanne pesantissime nei vari processi per 416bis che sono stati celebrati negli ultimi anni, da “Circolo Formato” in poi?
Perché mortificare l’iniziativa di un gruppo di ragazzi che si erano autotassati e avevano chiesto ai propri concittadini dei contributi per poter permettere alla squadra di giocare in questo campionato?
E’ davvero così che si combatte la ‘ndrangheta, ovvero tagliando i viveri (o meglio, chiudendo, d’imperio, i cancelli dello stadio) a ragazzi che durante la settimana studiano o lavorano, si allenano all’ora di cena e la domenica difendono i colori della squadra del loro paese?
Crediamo di no.
Come interpreteranno, questi ragazzi, una mossa del genere e che idea avranno di Stato e legalità?
Siamo dell’idea che la criminalità, specie quella organizzata, vada combattuta con decisione e rigore, individuando e punendo le singole responsabilità penali che, per loro natura, sono individuali. E che per instillare la cultura della legalità la repressione serva a poco: meglio insegnare fin da piccoli la cultura del rispetto delle regole, all’interno del rettangolo di giuoco e nella vita di tutti i giorni, e in questo il calcio, specie quello giovanile, una mano la può dare sempre, purché supportato dall’imprescindibile opera delle principali agenzie educative come famiglia, scuola e anche chiesa.
Quindi, levare il pallone a un gruppo di giovani, forse non è una grande idea. Almeno, questo è il nostro modesto parere.
Preferiamo ricordarle così, le furie giallorosse, a dare l’anima in campo, tra i rimbrotti del compianto custode Benito Vitetta e le battute sarcastiche dell’indimenticato collega Franco Martora, che seguiva le partite a bordo della sua Fiat Punto.
Preferiamo ricordare la goliardia dei lanci di cipolle contro i cugini del Gioiosa Ionica e i derby in cui la squadra si caricava con le note di “Marina, Marina, Marina” diffuse dagli altoparlanti sotto la gradinata.
E’ l’immagine che abbiamo nella nostra memoria, anche se da anni non ci occupiamo più di calcio dilettantistico.
Oggi, a questa comunità di ragazzi serve una mano per ricostruire.
L’amarezza non basta, le polemiche non servono e la voglia di giocare non può passare di colpo, dopo un provvedimento amministrativo.
Perché quella polvere di quel terreno di gioco ostico merita di essere calpestata ancora dalle scarpe coi tacchetti.
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