DALL’UFFICIO STAMPA DELLA DIOCESI DI LOCRI-GERACE RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA SEGUENTE NOTA STAMPA
Carissimi fratelli,
All’inizio, abbiamo pregato così: O Padre, che hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore, concedi a noi, partecipi della sua consacrazione, di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza.
La liturgia ha sintetizzato in questa preghiera importanti verità di fede ed impegni morali: la consacrazione di Gesù, la sua missione di messia e di Signore, la nostra partecipazione a questa consacrazione e perciò la nascita anche per noi della missione di essere testimoni della salvezza. Ma a chi è rivolto il noi di questa preghiera? I sacerdoti che ricordano in questa messa la loro realtà sacramentale di ministri del Signore e l’unità del presbiterio attorno al loro vescovo? Certamente questa messa si riferisce in modo particolare al sacerdozio ministeriale: i sacerdoti rinnoveranno le loro promesse sacerdotali. Ma il noi è più vasto: è il noi della comunità cristiana che riscopre il sacerdozio comune dei battezzati. Il crisma ci ricorda ogni consacrazione ed ogni invio in nome di Cristo e della sua Chiesa. Abbiamo sentito le parole dell’Apocalisse: A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ma anche le altre due letture sottolineano la stessa verità: lo Spirito del Signore è su di me. Il me di ciascuno di noi. Isaia prosegue: Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti. Io darò loro fedelmente il salario, concluderò con loro un’alleanza eterna. Sarà fa-mosa tra le genti la loro stirpe, la loro discendenza in mezzo ai popoli. Coloro che li vedranno rico-nosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore. Gesù rivendica per sé le parole di Isaia: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato. Una rivendicazione legittima perché è dalla sua consacrazione che scaturisce ogni altra consacrazione; è il suo sacerdozio che genera il nostro; è lui il sacramento fondale dal quale si ramifica ogni altro sacerdozio. In lui siamo tutti sa-cerdoti. Ecco perché fra poco pregheremo: Conferma questo crisma come segno sacramentale di salvezza e vita perfetta per i tuoi figli rinnovati nel lavacro spirituale del Battesimo. Questa unzione li penetri e li santifichi, perché liberi dalla nativa corruzione, e consacrati tempio della tua gloria, spandano il profumo di una vita santa. E poi nel prefazio: Hai voluto, Padre, che il suo unico sacer-dozio fosse perpetuato nella Chiesa. E’ la bellezza del mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio che non ci stancheremo mai di meditare e di proiettare in esso il mistero della vita dell’uomo. Se si scoprisse questa verità vissuta in forza del battesimo! Oggi, venerando il sacro crisma e pensando al suo uso nelle sacre celebrazioni, siamo invitati a scoprire la nostra identità sacerdotale e perciò la nostra missione. E lo facciamo mentre raccogliamo le primizie del ministero del nuovo papa. Una delle parole che abbiamo sentito ripetere nei suoi discorsi è stata quella di popolo. Il richiamo alla verità di popolo di Dio, che sta alla base del mistero della Chiesa, deve rinnovare il nostro modo di sentire la Chiesa e conseguentemente la nostra missione. I sacerdoti appartengono al popolo di Dio e i presbiteri sono generati dalla fede, militanza e sacerdozio di questo popolo. Da questo punto di vista il magistero di Papa Francesco ci spronerà ad andare avanti nel nostro percorso pastorale di costruire comunità adulte nella fede. Carissimi fedeli, questa celebrazione vi appartiene; sentitela vostra e riscoprite anche voi la vocazione di annunciare il Vangelo. Fra poco pregheremo: Quest’olio sia crisma di salvezza per tutti i rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo; li renda partecipi della vita eterna e commensali al banchetto della tua gloria. Ma a maggior ragione, carissimi sacerdoti, questa celebrazione appartiene a noi ed è un momento importante nella vita di una Chiesa perché celebra l’unità del presbiterio attorno al Vescovo. Tale unità non è solo un fatto emozionale, ma sa-cramentale, nel senso che noi qui siamo l’immagine della Chiesa voluta da Cristo, alla quale ha consegnato il suo sacerdozio, mediante il quale essa può continuare la missione di salvare gli uomini e di intercedere presso il Padre. Il sacerdozio comune dei fedeli è reso possibile dalla continuità del sacerdozio ministeriale attraverso la successione apostolica, per la quale oggi il Vescovo che vi parla è successore di uno di quegli Apostoli ai quali Gesù ha affidato la sua missione. Nel prefazio pregheremo: Con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l’imposizione delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza. Ecco perché il crisma è un dono particolarmente ri-volto a noi. Ecco perché sentiamo come rivolte particolarmente a noi le parole della preghiera di consacrazione: Si compia in essi il disegno del tuo amore e la loro vita integra e pura sia in tutto conforme alla grande dignità che li riveste come re, sacerdoti e profeti. Come Gesù, per prima io come Vescovo e poi anche voi con me, cari sacerdoti, ripetiamo le parole del Signore: Oggi si è compiuta in me questa Scrittura. Anche noi oggi ci sentiamo inviati in modo particolare: Lo Spirito del Signore è sopra di me … mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore. Come Gesù! Vi consegno questa espressione: Come Gesù! Fatela riecheggiare nelle orecchie durante questa S. Messa, durante questi santi giorni. Come Gesù! Non sentite il bri-vido di questa responsabilità? Ma nello stesso tempo, non gustate la gioia di questa identità? Come Gesù! Facciamo rivivere dentro di noi la ricchezza teologico-spirituale dell’espressione: sacerdos alter Christus. Ma riecheggino altresì le parole severe le parole di Papa Francesco ai Cardinali: Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG pietosa, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demo-nio. La nostra missione, miei cari, ci espone davanti al mondo. Il Vangelo dice che nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui, su Gesù. Benedetto XVI, nell’ultima udienza pubblica, ha detto parole sul ministero petrino, che sono valide per qualunque ministero nella Chiesa: Sempre – chi as-sume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Parole che ci fanno riflettere e che ci incutono un po’ di timore, se non avessimo fiducia nel Signore, ricordando le parole del Salmo: Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato; la mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua forza. Anche noi siamo sotto gli occhi di tutti, e sappiamo che tutti si sentono in obbligo di dire la loro sul nostro comportamento; tutti autorizzati, anche persone impegnate nella Chiesa, a esprimere su di noi giudizi, spesso crudeli e impietosi. In occasione del Conclave abbiamo notato il livore dell’informazione nello screditare la Chiesa davanti alla gente, ripescando i soliti problemi di pedofilia, descrivendo un collegio di cardinali pronti a scannarsi per il potere. Ha passando al setaccio la vita dei cardinali per emettere il suo giudizio su chi era degno o meno di entrare in Conclave. Ma abbiamo visto quale sia stata risposta dello Spirito. Il Conclave è stato breve; il papa è stato eletto al quinto scrutinio, segno di un accordo veloce tra i Cardinali: altro che divisione e guerra di potere! Protagonista straordinario di questo ultimo mese a piazza S. Pietro è stata la folla, che si è stretta attorno a Benedetto XVI, ammirata e convinta delle ragioni del suo gesto. E poi quella folla raccolta prima di conoscere il nuovo Papa, e quella che si sta raccogliendo dopo i primi gesti e discorsi di Papa Francesco. Altra risposta dello Spirito Santo al maldestro tentativo di alcuni media italiani di screditare la Chiesa dinanzi al mondo. La Chiesa, invece, è amata dai fedeli, che sanno distinguere il bene dal male e non fanno di ogni erba un fascio. Del resto, se i Cardinali in così breve tempo hanno eletto questo Papa, è segno che hanno voluto il cambiamento che egli sta portando. Ciò incute in noi, carissimi, il santo timore di Dio, per cui dob-biamo rispondere con radicalità alla grazia del Sacerdozio. A voi ripeto l’esortazione del Papa ai Cardinali: conoscete Cristo, amate Cristo, seguite Cristo, annunciate Cristo. La liturgia del Sacro Crisma ruota tutta attorno alla mirabile unione tra Cristo e il sacerdote. Nel prefazio pregheremo: Tu, o padre, proponi loro come modello il Cristo, perché, donando la vita per te e per i fratelli, si sforzino di conformarsi all’immagine del tuo Figlio, e rendano testimonianza di fedeltà e amore ge-neroso. E nella rinnovazione delle promesse sacerdotali vi chiederò: Volete unirvi intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a voi stessi e confermando i sacri impegno che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto liberamente verso la sua Chiesa? Miei cari sacerdoti, dal rito passiamo alla verità dell’agire. Bisogna essere santi e riportare il sacro nel mondo; il crisma ce lo ricorda: noi siamo sacri per il mondo. Se c’è questo sforzo il fango gettato sulla Chiesa non ci sporcherà. E ricordatevi anche del vostro Vescovo. Mi avvio a compiere cinque anni di presenza in mezzo a voi: mi sto mettendo ripetutamente in riflessione davanti a Dio e alla mia coscienza. Prego. Sento anche io tutte le difficoltà del dialogo con la modernità, dinanzi alle quali Benedetto XVI si è sentito fisicamente e moralmente stanco. Prego allora e vi invito a pregare: guidare una Chiesa diventa oggi estremamente difficile. Mi è grato come ogni anno, ringraziare tutti coloro che, in un modo o nell’altro, aiutano il cammino della nostra Chiesa locale. Dal Vicario Generale a tutto il personale della Curia: sacerdoti e laici. Grazie a tutti voi laici che in vario modo portate il peso della parrocchia: catechisti, ministranti, ministri straordinari. Grazie ai Diaconi, alle religiose e ai seminaristi. Grazie ai vari gruppi associativi e ai movimenti. Grazie al coro diocesano e a tutti i cori parrocchiali. Grazie a tutti. La Chiesa è viva: amiamola, serviamola, testimoniamola, difendiamola. E in modo particolare ringrazio voi carissimi sacerdoti, che servite con me questa santa Chiesa di Dio, che è in Locri-Gerace. Grazie perché ci siete; grazie per quello che fate; grazie per l’affetto; grazie per le osservazioni che mi fate. Dio vi renda merito per tutto. Con Geremia vi dico: Coraggio, vi muoveranno guerra ma non vi vinceranno, perché io sono con te per salvarti (Ger 1, 19).
SECONDA OMELIA
Le messa del Giovedì Santo ci ricorda l’ultima cena del Signore con i suoi discepoli prima di affrontare la passione. L’avvenimento è importante perché Gesù durante quella cena pasquale istituisce l’Eucarestia, cioè rimane nell’Ostia consacrata vivo e vero, e istituisce anche il sacerdozio, cioè il sacramento dell’Ordine sacro con il quale vengono consacrati i sacerdoti, che possono così celebrare l’Eucarestia e rimetterci i peccati. Vicino ormai alla morte egli chiede di vivere con i suoi un momento intenso di affetto, di amicizia, di familiarità: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi prima di patire (Lc 22, 26). I discepoli sono ignari di quanto sta per accadere al loro maestro e anche a tutti loro. Non sanno che di lì a poco Gesù nell’orto sarà arrestato e loro lo abbandoneranno per paura di essere arrestati anche loro. Capiscono, però, che Gesù vuole vivere un momento di grande intimità. Intuiscono che sta per accadere qualcosa di grave, di solenne. In quella cena Gesù vive con i discepoli un’esperienza che essi non dimenticheranno mai e sarà suggestiva anche per coloro, come noi, che la ricordiamo ogni anno senza averla vissuta. I discepoli capiranno i gesti del maestro solo dopo la risurrezione, ma, dopo averli capiti, li hanno proposti subito ai fedeli perché non si perdesse memoria di essi e perché tutti potessero attingere da essi la forza spirituale, che anche noi speriamo di attingere questa sera per la vita (1Cor 11, 22-29). Ecco perché ogni domenica celebriamo la Santa Messa; ecco perché celebriamo la solennità di questa sera: vogliamo ripetere i gesti compiuti da Gesù: faremo la lavanda dei piedi, consacreremo l’Eucarestia. S. Giovanni introduce il racconto dell’ultima cena con queste parole: Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13, 1). Questa espressione ha un duplice significato: Gesù amò i suoi sino alla fine della vita; Gesù amò i suoi sino all’estremo segno dell’amore, che è quello di dare la vita. Ce lo aveva detto lui stesso: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13). E nell’Eucarestia, che egli istituisce durante la cena pasquale, c’è il segno di questo amore più grande: questo è il mio corpo che è dato per voi; questo è il mio sangue che è versato per voi. L’ultima cena anticipa il sacrificio della Croce. In questo gesto egli dimostra tutto l’amore che ha per noi, la sua misericordia, la sua capacità di stare accanto a noi in ogni momento della nostra vita. Noi per fede sappiamo che lui è il figlio di Dio fatto uomo per noi. Ma che cosa vuol dire tutto questo per noi? Proviamo a riflettere. A Natale noi diciamo: il figlio di Dio si è fatto uomo come noi; si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Ciò vuol dire che egli si accompagna all’uomo perché vive come lui tutte le esperienze della vita: mangia, dorme, si ammala, lavora, compie i suoi doveri religiosi, ha amici, è perseguitato, parlano male di lui, non lo credono, lo tradiscono, lo arrestano, lo giudicano ingiustamente con un processo farsa, lo torturano, muore, ma risorge al terzo giorno. Ecco cosa vuol dire che sta accanto a noi. Egli si accompagna a ciascun uomo e conosce bene la vita dell’uomo sulla terra. Nessuno di noi può dire che Gesù non lo può capire. Gesù capisce tutti, ama tutti, sta a vicino a tutti. Perché noi potessimo sentirlo più vicino ci ha dato il sacramento dell’Eucarestia e la S, Messa. Quando celebriamo la Santa si ripete in mezzo a noi il sacrificio della croce. Quando noi riceviamo la comunione è Gesù che viene dentro di noi e la sua presenza è più forte e più viva. In questo modo comprendiamo come la vita di Gesù sia stata spesa tutta per l’uomo, a servizio della sua salvezza. E perché rimanesse impressa nella mente dei suoi discepoli questa verità, che è poi un insegnamento costante del suo Vangelo, egli in quell’ultima cena ha compiuto un gesto particolare: ha lavato i piedi agli apostoli. Abbiamo sentito il racconto del Vangelo e abbiamo colto l’insegnamento che ci ha dato: lavatevi i piedi gli uni gli altri. Questo invito significa accoglienza l’uno dell’altro, anche quando qualcuno ha sbagliato; significa misericordia e perdono. I piedi si lavano perché sporchi. L’immagine di Gesù è chiara: rendetevi il servizio della misericordia e del perdono, dell’accoglienza e della cura reciproca. Non chiudetevi nell’egoismo e nell’indifferenza, o, peggio ancora nell’odio e nella vendetta. Il perdono si dà proprio perché uno ha peccato. Miei cari fratelli, la mia presenza in mezzo a voi questa sera vuole essere idealmente la continuazione di quell’invito al perdono che ho lanciato a Polsi nel settembre scorso, quando ho detto che il perdono cristiano è per tutti, nessuno escluso. Invito contestato da tanti sui giornali, come se dopo duemila anni di cristianesimo noi potessimo strappare dal Vangelo di Gesù tutte le pagine che si riferiscono al perdono. Tra le poche parole dette da Gesù sulla Croce, occupano un posto particolare quelle sul perdono: Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno; oggi sarai con me in paradiso. La lavanda dei piedi che fra poco farò sia espressione della cura della Chiesa nei vostri confronti. La Chiesa vi porta l’amore e il perdono di Dio, pregando a augurandosi che faccia altrettanto la società civile. Ancora un altro pensiero, rivolto direttamente a voi, reclusi in questo luogo di pena. Nel racconto dell’istituzione dell’Eucarestia S. Paolo inizia così: Nella notte in cui veniva tradito. E’ un riferimento temporale, ma è anche una considerazione drammatica su quell’ultima cena, sulla quale sovrastava la tragedia dell’imminente passione e morte del Signore. Quella notte convissero amore e odio, fedeltà e tradimento, dono della vita per l’altro e patteggiamento vigliacco della vita di un uomo. Giuda vende Gesù per 30 denari; gli apostoli scappano tutti e lasciano Gesù solo, mentre Gesù dona la vita per noi, lava i piedi di tutti, ci lascia il sacramento del suo amore e del suo perdono. Miei cari, non possiamo passare sotto silenzio i nostri tradimenti del Signore, cioè i nostri peccati. Dio ha misericordia di noi, ma ci chiama a conversione. Dobbiamo cambiare vita; dobbiamo rientrare in noi stessi e interrogarci su quante volte abbiamo peccato, ma farlo alla luce del Vangelo, non secondo i nostri schemi mentali, che alcune volte giungono anche a giustificare colpe gravi, tranquilli dietro una parvenza di religiosità che non è tale.Miei cari, altre volte l’ho ripetuto a tutti voi, approfittate di questo tempo, anche se foste rinchiusi qui ingiustamente, per ripensare la vostra vita e correggere i vostri errori e ripararli. Nella lettura della Bibbia e nei sacramenti della confessione e dell’Eucarestia troverete la forza per andare avanti con fede e con impegno, rinnovati interiormente. Il Signore risorto vi dia speranza e vi dia pace interiore: a voi e a tutte le vostre famiglie.