I recenti arresti per droga riaprono il dibattito sulla legislazione in materia di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Un tema scottante è attualmente la questione dell’aggravante dell’ingente quantità in rapporto alla condotta coltivativa, affrontato nella sentenza 10 gennaio – 4 marzo 2013 n. 10090/13 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione. La questione è controversa, poiché in questa sentenza non sono presenti criteri ben definiti che indichino quando la coltivazione di cannabis sia illegale. Non è sufficiente parlare solo di quantità perché la potenzialità tossicologica della cannabis dipende da alcune variabili, come la fase di fioritura, che varia da pianta a pianta, da ceppo a ceppo.
Quella che per la giurisprudenza è solamente una legge da perfezionare rischia di porre il semplice consumatore occasionale di marijuana alla stregua dei grossi trafficanti di droga.
I recenti fatti di cronaca locale hanno infatti dimostrato quanto sia urgente la necessità di una legislazione davvero efficace in materia. E’ di pochi giorni fa la notizia dell’arresto di un’incensurata donna di 31 anni, Teresa Mangiaruga, colta in flagranza di reato mentre prelevava un pacchetto contenente un chilo e mezzo di hashish all’interno di una macchina abbandonata. Se il caso appena citato può destare stupore, è nulla in confronto ad un altro fatto di cronaca avvenuto nel Reggino: si tratta di un’intera famiglia di contadini accusati di detenzione illegale di armi, munizioni e sostanze stupefacenti. Il padre, Francesco Madafferi, di 63 anni, e i due figli Giuseppe di 29 anni e Ferdinando di 35, sono stati arrestati dai carabinieri di San Ferdinando a seguito di un’accurata perquisizione personale e dei domicili dei tre uomini.
In questi giorni, inoltre, si è parlato nuovamente di un importante fatto di cronaca inerente alla droga: la maxi retata del 2012, esito dell’operazione “Coccodrillo”, con la quale i carabinieri per cinque anni hanno monitorato il traffico di stupefacenti tra Messina, Palermo e la zona della locride.
Ma quali criteri oggettivi distinguono questi criminali dai non-criminali?
La sentenza citata poc’anzi ha stabilito una misura quantomeno virtuale per segnare questa divisione: come accennato, per la condotta coltivativa ci si deve basare sulle potenzialità della pianta. Più precisamente, se il principio attivo non supera la soglia potenziale e convenzionalmente fissata di 2000 volte, inteso come valore massimo, non si riscontra la circostanza aggravante.
Ciò che solleva molte perplessità è il modo in cui si può ricavare tale misurazione. Lo sviluppo della pianta di marijuana, come accennato in precedenza, avviene come per tante altre specie vegetali, ed è dipendente da una serie di fattori che influiscono soggettivamente su ogni singolo esemplare.
Oltre alla soggettività del periodo in cui la pianta fiorisce, occorre tenere conto banalmente dei fattori relativi alla coltivazione come l’habitat, i differenti modi di coltivarla e le condizioni climatiche, che determinano le differenze tra i singoli esemplari.
E’ fondamentale eseguire un efficace esame tossicologico, tenendo conto che i risultati non possono riguardare la singola pianta ma l’intera coltivazione.
Inutile, poi, cercare di stabilire quali e quante piante di cannabis potranno effettivamente svilupparsi e produrre marijuana, poiché alcune potrebbero portare a termine il ciclo produttivo e altre no. Indispensabile, in tal senso, è stabilire il “sesso” del singolo esemplare: è noto che solo le piante femminili sono produttive. Questo ha portato al largo impiego di semi femminilizzati, scelta che si va a sommare alle numerose potenzialità di una singola pianta, la quale, affinché possa essere giudicata “illegale”, dovrebbe essere monitorata durante tutto lo sviluppo della sua vita.
Soluzioni a questa indeterminatezza? Per ora non sembrano essercene, a parte quella di rendere più precisa ed oggettiva la normativa oggi in vigore.
Domenico Cianci