di Maria Antonella Gozzi
SIDERNO – “Ormai è l’alba e ho paura di stare, restare da sola a scordarmi di noi”. E’ attraverso i versi del brano musicale “Modì”, tratto dall’omonimo album del cantautore Vinicio Capossela, che oggi ci è concesso il privilegio di conoscere di Jeanne Hétuberne, giovane pittrice francese vissuta tra il 1898 e il 1920, anche attraverso il saggio biografico “Di schiena. “Jeanne Hétuberne, senza Modigiani, edito da Città del Sole e scritto da una intensa Anna Burgio.
Nel momento in cui ho deciso di cimentarmi nel difficile compito di introdurvi nel mondo di Jeanne e nell’opera della Burgio, mi sono detta che non c’è un solo modo di recensire un libro, sia esso un romanzo, un saggio, il frutto di un lavoro d’inchiesta o finanche una biografia; tutto dipende da cosa osserva il lettore, da cosa cerca fra le righe.
“Di schiena” è arrivato, tuttavia, per sovvertire le mie convinzioni sulla necessità di interpretare a tutti i costi un personaggio a proprio “uso e consumo”, di comprenderne i moti dell’animo attraverso spiegazioni più o meno individuali e soggettivizzanti. E’ anche pericoloso, se vogliamo, perché si corre il rischio di non comprenderne la grandezza e la singolarità. E Jeanne Hétuberne era immensa da sé. Una creatura eccezionalmente singolare.
Ma chi è Jeanne?
Jeanne Hébuterne (Maggio 6 aprile 1898 – Parigi, 25 gennaio 1920) è stata una pittrice francese cresciuta in una famiglia cattolica. Il padre, Achille Casimìr, era un ebreo convertito. Ella venne introdotta dal fratello André Hébuterne all’interno della comunità artistica di Montparnasse, divenendo una modella di Tsuguharu Foujita. La perfezione del suo viso, oltre ai bellissimi e lunghi capelli castano chiaro, le valsero il soprannome di “noix de coco” (noce di cocco).
Desiderosa di una carriera nelle arti, si iscrisse all’Académie Colarossi dove, nella primavera del 1917, conobbe Amedeo Modigliani con il quale andò a vivere e del quale divenne principale soggetto artistico.
La scelta del titolo “Jeanne Hétuberne, senza Modigliani” non può essere causale, mi dico. Vi è come l’impressione che l’autrice scelga di non volere (e forse di non concepire nemmeno) una Jeanne “speculare” e a margine della vita di Modigliani, della sua arte e della sua vita dissoluta.
La certezza, al contrario, è che sia mossa dal desiderio di riconoscerne l’identità e di conferirle dignità a prescindere; una dignità strappata alla memoria dall’ombra dell’artista livornese.
La prima immagine di Jeanne è di una bambina diligente, adorante e felice della vita semplice e ricca di valori che conduceva sotto l’alea protettiva e amorevole della famiglia. Non si conosce fino in fondo il momento in cui la piccola “Nenette” decise, probabilmente suo malgrado, di specchiarsi in una nuova e più triste dimensione interiore. Quel che si conosce di lei, è narrato a più voci. E ogni voce sembrerebbe convogliare verso un’unica spiegazione plausibile: l’allontanamento forzato dell’amato fratello André, partito per il fronte, l’aveva privata del sostegno morale e della simbiosi intellettuale di cui si nutrivano entrambi.
Il vuoto per la distanza fisica e morale dal fratello, contribuì ad alimentare la sua solitudine. Jeanne aveva qualche amica con la quale di tanto in tanto parlava del suo mondo interiore, ma ciò non bastava a riempirle la vita e le giornate, scrive l’autrice. Era convinta che nessuna delle persone incontrate sul suo cammino potessero entrare veramente in contatto con la sua anima che, alla fine, decise di chiudere. Di negarle voce e colore.
L’incontro con Modigliani, artista italiano arrivato a Parigi con la sua arte e la sua immensa cultura, ebbe a convincere Jeanne che la felicità fosse a un tratto arrivata anche per lei. Fu quello il momento in cui la giovane e promettente pittrice, dimenticò sé stessa per donarsi completamente al suo Modì. Un grande artista, ma anche un uomo molto fragile.
Furono le conseguenze di una scelta difficile perché, anzitutto, contraria al volere della famiglia tanto amata che trasformarono la piccola e fragile Jeanne in una donna cupa, invisa e divorata dal senso di colpa. Per un breve lasso di tempo le parve di poter trasformare la sua condizione di figlia ingrata in quella di compagna devota per il suo uomo, ma nemmeno in questo caso la sorte le sorrise. Una maternità difficile e l’incapacità di guarire Modigliani dalla dipendenza dall’alcool e dalle droghe la convinsero, in assoluto, della sua inadeguatezza e del suo totale fallimento.
L’autrice ci regala la storia di una persona che trasformò la sua sensibilità in una virtù in eccesso, come amo definirla. La sua sensibilità era dappertutto, le cadeva dai fogli di disegno, trapelava dagli occhi. La sua ostinata introversione, allo sguardo degli interlocutori più attenti, era il suo maggior fascino. E allora perché, continuo a domandarmi, Jeanne volle credere e fortemente convincersi di un fallimento? Perché non l’aiutarono la grandissima intelligenza, l’audacia dei suoi giovani anni e le sue sconfinate potenzialità artistiche?
Scrivendo mi viene in mente una frase di Oriana Fallaci che ho letto molti anni fa e che sembra aiutarmi anche in questo momento: «La storia dell’Uomo è anzitutto e soprattutto una storia di coraggio: la prova che senza il coraggio non fai nulla, che se non hai coraggio nemmeno l’intelligenza ti serve».
Fu dunque il coraggio che mancò a Jeanne e che manca a molte a molte donne?
No, non cado nell’errore che ho cercato di non fare fin dalle prime battute di questa recensione. Non voglio soggettivizzare, ricondurre a frasi stereotipate per spiegare il dramma che consumò la vita di Jeanne. Non fu il coraggio a mancare a “noce di cocco”. Fu la mancanza di amore per sé stessa, un amore che elargiva in eccesso e nella direzione sbagliata, nella speranza e, forse, nella convinzione di trattenerne anche un po’ per sé. Fu la mancanza delle persone che, più di tutte, avrebbero dovuto compensare il vuoto di un’intelligenza pericolosa.
NOTE BIOGRAFICHE DELL’AUTRICE:
Anna Burgio, siciliana di Porto Empedocle, dopo una lunga permanenza in Calabria si è stabilita in provincia di Agrigento, dove lavora come funzionario del Ministero della Giustizia. Nel 2007 ha pubblicato, per Città del Sole Edizioni di Reggio Calabria, “Serafina”, romanzo biografico ambientato nella Sicilia della prima metà del Novecento. Il libro ha visto una seconda edizione nel 2011. Del 2013 è “Dove mi porti?”, edito da Armando Siciliano Editore, raccolta di quindici racconti aventi come denominatore comune il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Due suoi racconti sono stati premiati in concorsi letterari e pubblicati nelle relative antologie: “Il seno ferito, storia di un cancro quasi buono”, racconto lungo che ha vinto il primo premio del concorso nazionale “Donna sopra le righe”, 2011; “Plancton”, classificatosi al secondo posto nel concorso “Il tuo racconto per Malgrado tutto”, 2013. Fa parte dell’organizzazione del concorso letterario “Kaos” e dell’omonimo Festival dell’editoria, della legalità e dell’identità siciliana.
La stessa Jeanne Modigliani non ha potuto rivelare di più sulla personalità della madre scomparsa così giovane.
La differenza di età con Modigliani. che ha quasi il doppio degli anni della Hébuterne quando si conoscono, la colloca in una condizione inevitabilmente subordinata: le conseguenze di questo eccessivo squilibrio si percepiranno troppo tardi.
Non sà, non riesce a contenere l’esuberanza di Amedeo, nè può competere con lui su un piano culturale, più “esibito” che sostanziale, maturato da Modigliani all’ombra della madre Eugenia Garsin negli anni dell’adolescenza a Livorno.
Jeanne lo ammira, quasi lo adora, almeno quanto è innamorata del suo ruolo di compagna di un grande artista alle soglie del successo.