ROCCELLA JONICA – Il Pd di Roccella ha di recente annunciato la ripartenza della propria azione politica, il cui primo atto è stata la presa di posizione sulle aliquote Imu deliberate dalla Amministrazione, definite ingiuste, insopportabili e vessatorie. E dopo pochi giorni dall’affissione pubblica di un manifesto che “criticava” da parte dei piddini la scelta del Comune di un aumento dallo 0,4 allo 0,5, oggi arriva la risposta degli amministratori. L’Imu è un’imposta come l’Irpef o l’Iva e «può essere definita giusta o ingiusta solo se la sua riscossione è o meno collegata alla erogazione di buoni servizi ai cittadini e se è o meno equamente distribuito il peso dell’imposta tra i soggetti chiamati a versarla». Che l’Imu non sia una imposta comunale è ormai chiaro a tutti, serve in gran parte a finanziare il bilancio statale ed in parte a coprire i tagli dei trasferimenti dello Stato ai comuni. Che il comune di Roccella, attraverso le imposte pagate dai cittadini, eroga servizi certamente migliorabili, ma sicuramente di buona qualità, «crediamo sia sotto gli occhi di tutti». Non tutti, però sanno che l’entrate derivanti dalle aliquote base del 4 per mille per le prime abitazioni e del 7,60 per mille sugli altri fabbricati non sono sufficienti «a recuperare i tagli subiti dal nostro bilancio». Al pari della totalità dei comuni «della nostra Provincia, molti a guida Pd, la Giunta ha perciò dovuto procedere all’aumento delle aliquote Imu». Qual è dunque la logica adottata dall’amministrazione sulle aliquote? Chiedere ai proprietari di prime abitazioni piccoli sacrifici a chi può pagare poco e giusti sacrifici a chi può pagare di più per finanziare importanti agevolazioni sugli altri immobili. Ma entriamo ancora più nello specifico. Imu sulla prima abitazione: i dati dell’Ufficio tributi ci dicono che a Roccella ci sono oltre 2.200 proprietari di prima casa. Di questi, il 20% abita in immobili di buon livello qualitativo (A2), il 67% abita in immobili economici o popolari (A3 ed A4), il 4% in immobili ultrapopolari (A5), il 2% in immobili rurali ed il 4% in immobili di pregio (A1 e A7). Salvo piccolissime eccezioni, è evidente che le famiglie con reddito basso e medio e medio – basso risiedono per la maggioranza in immobili A3, A4 e A5, mentre famiglie con reddito medio – alto e alto risiedono in immobili A1, A2, A7 o in A3 molto grandi. Per effetto delle detrazioni, il 55% dei proprietari non pagherà l’IMU sulla prima casa. Soprattutto non la pagherà nessuna famiglia che abita in A4 e A5 e il 40% delle famiglie che abitano in A3. Per questi contribuenti, se l’aliquota è al 4, al 2 o al 5 è assolutamente indifferente, poiché non hanno base imponibile. Il 20% delle famiglie che abitano un A3 pagherà una IMU non superiore a € 100. Per queste un aumento dell’aliquota dal 4 al 5 per mille significa pagare circa € 20 in più. Il resto delle famiglie abita o in immobili A3 molto grandi o in immobili di pregio: a queste, che presumibilmente hanno un reddito medio – alto, è chiesto un maggiore sacrificio. «Si capisce, quindi, che – spiegano gli amministratori – qualsiasi abbattimento della aliquota sulla prima casa ha effetti di vantaggio a favore delle famiglie che abitano immobili grandi o di pregio, effetto limitato su chi abita immobili standard e nessun effetto su chi abita immobili piccoli o popolari. Imu sulle altre abitazioni: nella quasi totalità «dei comune della nostra Provincia, anche in quella a guida Pd, gli immobili diversi dalla prima abitazione pagano tutti indifferentemente l’aliquota del 10,60. Nella delibera – continuano – che i dirigenti del Pd dimostrano di non aver letto con attenzione, è chiaro il perché della nostra scelta di portare l’aliquota sulla prima casa al 5 per mille. Solo così, infatti, abbiamo potuto prevedere una serie di agevolazioni sugli altri immobili. In particolare abbiamo previsto che le seconde case date in uso gratuito dal padre al figlio e viceversa paghino il 9 per mille e non il 10,60 e tutti i fabbricati nei quali è insediata una attività produttiva paghino il 7,60 per mille». Decisioni intraprese perché sono molti i casi di uso gratuito e perché si vuole preservare, per quanto possibile, le attività di impresa, che già risentono fortemente della crisi, sapendo che a Roccella non ci sono grandi imprese e che dietro ogni attività produttiva c’è la possibilità di vita di più famiglie. «Noi crediamo che questa scelta sia giusta – concludono – cosa vuole il Pd non lo abbiamo capito. Quando avranno la bontà di dirlo a noi e ai roccellesi potremo confrontarci sulle proposte. Per ora registriamo solo la falsa partenza dell’adozione politica del Pd roccellese».
SIMONA ANSANI