di Ilario Balì
RIACE – «Orgoglioso di cantare davanti a un sindaco così». A un anno dalla sua prima esibizione a Riace Roberto Vecchioni è tornato nel paese dell’accoglienza, tappa del tour “La vita che si ama”, live acustico tratto dal suo ultimo libro, intervallato da momenti di riflessione sulla felicità, accompagnato dalla chitarra di Massimo Germini.
L’evento, moderato dal giornalista Angelo De Luca, ha chiuso la rassegna “RiaceinFestival”, con la premiazione dei corti e la consegna della targa alla memoria di Gianluca Congiusta. «La bellezza di Riace – ha detto il professore rivolgendosi a Domenico Lucano – non sta solo nell’accoglienza, ma nell’integrazione. Siamo diventati un’umanità perniciosa, inaffidabile e probabilmente anche un po’ stronza. Non c’è più cultura – ha aggiunto – perché i giovani tutti si stufano di essa. Non date retta a chi dice che in Italia non c’è posto. La felicità sta nelle piccole cose. C’è posto per tutti, e Riace è un esempio».
Nella sua ultima fatica letteraria Vecchioni ha raccolto tredici lettere rivolte ai figli. L’emozione si taglia a fette quando arriva il turno de “Le rose blu”. «Una canzone nata in un momento di grande sofferenza nella vita di uno dei miei quattro figli» ha raccontato Vecchioni. L’esecuzione è commossa più che in ogni altro pezzo. La voce è sofferta, spezzata, quasi gridata. «Non credo che esista al mondo un dolore più grande di vedere soffrire una persona che si ama – ha proseguito -E allora mandi una preghiera che sembra una bestemmia, o una bestemmia che sembra una preghiera».
Non sono mancati i grandi classici del vasto repertorio del cantautore milanese, da Luci a San Siro a Sogna ragazzo Sogna a Chiamami ancora amore, fino alla canzone della storia. E alla meritata standing ovation.