DAL NOSTRO LETTORE COSIMO CAVALLARO RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA SEGUENTE LETTERA APERTA
L’ignobile vicenda che descriveremo sta accadendo a Caulonia, l’antica Kaulon, città della Magna Grecia dalla storia millenaria, che meriterebbe ben altre occasioni per entrare nella cronaca. Ma i fatti sono cronaca dei nostri giorni e coinvolgono, ancora una volta, una donna della nostra Terra vittima di quell’atteggiamento che gli psicologi definiscono “amore criminale”.
Per motivi di riservatezza verso i veri protagonisti useremo nomi di fantasia per raccontarvi la vicenda di “Maria e Mario”. Una storia che potrebbe riguardare chiunque di noi. Ma passiamo ai fatti.
Maria e Mario sono due giovani Cauloniesi che, opponendosi all’emigrazione, cercano di sbarcare il lunario impegnandosi in attività commerciali sul territorio. Amano la loro città e ne sognano lo sviluppo. Convivono con affiatamento per anni impegnandosi fino allo stremo per il successo della loro impresa. Ma un triste giorno il giocattolo si rompe, l’affetto si esaurisce e (…) Maria si ritrova improvvisamente senza lavoro, senza risparmi (avendo investito tutto nell’impresa) e senza redditi. Ma non basta. (…) Mario, in un momento di follia, per motivi apparentemente futili, dà libero sfogo alla sua ira repressa. In presenza di testimoni percuote Maria con furia tale da costringerla a ricorrere alle cure mediche presso il nosocomio di Locri. Offesa “nella carne e nello spirito”, delusa e amareggiata, a Maria non resta altro che rivolgersi alla Legge per ottenere Giustizia. Inizia qui il suo lungo calvario.
Maria si reca presso la caserma dei Carabinieri di Caulonia e denuncia Mario. Ma non passano tre mesi che, udite udite, Maria riceve dal Tribunale di Locri l’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero.
A Maria non rimane che opporsi prontamente a tale richiesta ma la caparbia della Legge è inossidabile. Nell’udienza dibattimentale il Giudice, ricalcando pedissequamente le motivazioni redatte dal Pubblico Ministero, si limita a confermare la sua decisione. Scandaloso! Nessuno che ascolta né la parte offesa né tanto meno i testimoni citati in querela e mai da nessuno ascoltati!
In altre parole il referto medico, stilato dal Pronto Soccorso di Locri, non costituisce elemento probatorio. Calci e pugni, vibrati con violenza, vengono paragonati alla stregua di qualche schiaffetto gentile tra ex innamorati.
Ma Maria non si arrende. Nonostante le difficoltà economiche è decisa a lottare fino in fondo convinta che la sua non è una semplice battaglia per tutelare i propri interessi. Come lei tante altre donne del nostro Sud come del Nord del nostro Paese, sono costrette a subire violenza e a rimanere nell’ombra. Forse è giunto il tempo, all’alba del 2013, che sia cancellato il vecchio proverbio reazionario: “I panni sporchi si lavano in famiglia”.
Ora, alla luce di quanto descritto, qualcuno affermerà: “niente di nuovo sotto il sole!”. Verissimo, la violenza coniugale e non verso le donne, in questo frangente storico è all’ordine del giorno. Assistiamo, senza reagire, a episodi ancora più tragici. L’alto numero di tragedie denunciato dai media rischia di condurci verso l’assuefazione. In fondo sono storie che non ci appartengono, che coinvolgono sconosciuti. Ma siamo certi che la nostra indifferenza sia assolutoria?
La battaglia giuridica di Maria è quella di tutti coloro che non vogliono perdere la fiducia nella Giustizia. In un Paese che si ritiene la culla della Civiltà e della Giurisprudenza dobbiamo pretendere che tutte le donne come Maria siano tutelate nei loro diritti di cittadinanza ma soprattutto nella loro dignità.
Senza retorica noi, uomini che stimiamo e rispettiamo la nostra compagna sia essa moglie o convivente, senza sentirci moralisti alla Savonarola, abbiamo il dovere di indignarci e di ritenerci offesi da questi individui senza dignità che, alle soglie del 2013, applicano la “legge della giungla”. Come cittadini di questa Nazione dobbiamo chiedere con fermezza alla Legge che tuteli le nostre concittadine e che rispedisca, almeno virtualmente, questi individui proprio in quella Giungla dalla quale non avrebbero mai dovuto migrare.
Cosimo Cavallaro