di Gianluca Albanese
LOCRI – Si arricchisce di una nuova e importante novità la vicenda umana e personale di Liliana Esposito Carbone, madre di Massimiliano, ucciso sotto casa mentre tornava da una partita di calcetto il 24 settembre del 2004. Una morte, quella del giovane locrese, per la quale non si conoscono ancora i nomi dei mandanti e degli esecutori del delitto.
Già, perchè l’inchiesta avviata a seguito della denuncia dei familiari della vittima è stata archiviata nell’ottobre del 2007. Una pietra sopra dalla quale, però, mamma Liliana non si è mai fatta schiacciare. Lei ha ben chiari come sono andati i fatti. Sapeva che il figlio, all’età di 23 anni aveva avviato una relazione con una donna di dieci anni più grande di lui. Una donna già sposata all’epoca. Dalla relazione, a metà del 1999 nacque un bambino. E quel bambino è figlio di Massimiliano Carbone. Per dimostrarlo, Liliana ha intrapreso un lungo calvario fatto di denunce, appelli alle autorità e perizie a pagamento, e nell’aprile del 2005 ha consegnato ai Carabinieri un test di paternità firmato dal direttore del laboratorio Genoma di Roma, sulla scorta dei campioni biologici che lei stessa, con ferrea determinazione, aveva raccolto dopo l’omicidio di Massimiliano. E il risultato di quel test dice che Massimiliano è al 99,999% il padre del bimbo. Ma questo non basta per le autorità competenti. Non basta per esaudire il desiderio di Massimiliano, che nei sei giorni intercorsi dal colpo di fucile che un sicario nascosto dietro il muro di casa sua gli ha indirizzato al basso ventre (come a colpirne la virilità) al suo decesso, aveva raccomandato la madre di prendersi cura del bambino. Quel bambino che, all’atto della nascita, veniva denunciato all’ufficiale dello Stato Civile di Locri come figlio della donna con cui Massimiliano aveva avuto una relazione, e del marito. Per qualche anno sembra calare il silenzio sulla paternità, almeno fino quando la stessa non diviene oggetto del contendere. Perchè Massimiliano non ci sta a guardarlo da lontano, magari quando esce dall’asilo. Lo sente suo. E questo a qualcuno non va giù. La tensione, infatti, cresce fino all’agguato mortale di una sera di fine settembre. Da quel giorno in poi, la vita della maestra elementare Liliana Esposito Carbone non è più la stessa. Il dolore per un figlio ucciso nel fiore degli anni dopo una breve e laboriosa esistenza nella quale era stato anche donatore di sangue, forte del suo rarissimo gruppo ematico, dopo un po’ diviene stimolo per condurre una battaglia infinita, durissima ma combattuta con ferrea determinazione per ottenere giustizia e verità. Giustizia per il figlio e per il nipote. Giustizia per quello che definisce un delitto d’onore perpetrato con metodo mafioso. Cerca ogni occasione pubblica per denunciare la vicenda. La si vede a margine di importanti manifestazioni pubbliche e, col passare del tempo, la sua non è più una battaglia solitaria. Accanto a lei ci sono i familiari, i ragazzi della meglio gioventù di Locri e Mario Congiusta, uno che ha condiviso con lei l’atroce esperienza della perdita di un figlio per mano violenta. Attira anche l’attenzione di testate giornalistiche nazionali, oltre che locali. Di autori di documentari come “Oltre l’inverno” pubblicato sul sito del Corriere della Sera e visibile nel seguente link:
http://video.corriere.it/oltre-inverno/05dafdbe-dc5f-11df-be1f-00144f02aabc
Parla della sua storia con Prodi, Loiero e viene ricevuta dall’allora guardasigilli Clemente Mastella. Ma, ciononostante, non riesce ad avere giustizia. Solo, si fa per dire, il conforto dei dirigenti locali delle forze dell’ordine, dell’allora vescovo della diocesi di Locri-Gerace Bregantini e la sensibilità di alcuni giovani giornalisti e scrittori calabresi. La sua storia, della quale si è occupato anche lo speciale Tg1 andato in onda domenica sera, viene splendidamente narrata soprattutto in due recenti pubblicazioni: “Io parlo. Donne ribelli in terra di ‘ndrangheta” di Francesca Chirico (2013, Castelvecchi editore) e “Calabria Ribelle” di Giuseppe Trimarchi (2012, Città del Sole edizioni). Una vicinanza che le permette di sopportare meglio le innumerevoli insidie e difficoltà che si presentano lungo il suo cammino. Le supera tutte. Con la forza di una madre che non vuole cedere ai rilievi intempestivi del Ris, all’archiviazione della denuncia, all’aggressione subita al cimitero, agli sguardi torvi ricevuti e a qualche parola sopra le righe che è costretta a sentire. Va avanti, Liliana. E chi la conosce scopre che dietro l’aspetto apparentemente ruvido di indomita lottatrice per la giustizia e la verità, scopre una donna intelligente, coltissima, acuta, brillante nel suo amaro sarcasmo che utilizza come arma per continuare la sua battaglia. Lei che ogni giorno mette a posto i ritratti e i ricordi sul feretro di quel figlio tanto amato che non c’è più. Lei che dà da mangiare ai gatti che si aggirano nel cimitero. Quei gatti che Massimiliano amava tanto. Lei che dice di non poter vedere il nipote, nemmeno da lontano, da anni.
Dicevamo della novità. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno è stata depositata la sentenza del Tribunale Civile di Locri che dispone l’accoglimento della domanda di disconoscimento di paternità ex articolo 244 del Codice Civile relativa al nipote, presentata dal curatore del ragazzo, ormai quattordicenne. Una domanda che è stata accolta e che dichiara che il ragazzo nato nel giugno del 1999 non è figlio legittimo del marito della donna con cui Massimiliano Carbone ha avuto una relazione. Ma per Liliana, questo è solo l’inizio. La sua battaglia va avanti.